Anche il Museo egizio di Torino torna ad essere fruibile con le nuove modalità dettate dal necessario obbligo di contingentamento ma che ugualmente danno spazio alla possibilità di una visita sempre completa ed interessante.
Dedicato esclusivamente all’arte egizia ha i numeri di sempre con quarantamila reperti catalogati, di cui tremilacinquecento visibili in esposizione; tutte le sale aperte al pubblico, disposte sui quattro piani dell’edificio da poco restaurato con l’aggiunta di ulteriore spazio espositivo, per un totale di 2,5 km di percorso: il più grande museo della civiltà egizia al mondo fuori dai confini dell’Egitto moderno ed il più antico in assoluto, più di quello de Il Cairo.
Ti porto al Museo egizio di Torino ma non ti parlerò del Nilo e della sua imponente civiltà
La storia del Museo egizio di Torino inizia nel lontano 1759 quando, dal porto di Venezia, il medico, archeologo e botanico italiano Vitaliano Donati, appassionato egittologo, salpò alla volta dell’Egitto e delle Indie Orientali, con una spedizione ufficialmente per fini commerciali e conoscitivi circa le tecniche di coltivazione e allevamento tipiche dei territori visitati, per conto del Re di Sardegna Carlo Emanuele III, ma grazie al suo innato interesse per l’archeologia fu in grado di raccogliere molti ed interessanti reperti durante la sua permanenza lungo le sponde del Nilo.
Quello che la spedizione riuscì a recuperare quanto a reperti, manoscritti e mummie, andò ad allestire il Museo della regia università che in seguito, per naturale evoluzione, costituì il primissimo nucleo del Museo egizio di Torino, arrivato poi in crescendo evolutivo, fino a come lo vediamo oggi.
La spinta più importante però, in termini di reperti archeologici che di fatto andarono a costituire il nucleo principale del Museo egizio di Torino, fu data dal collezionista d’arte, esploratore e diplomatico italiano Bernardino Drovetti, il quale, in qualità di ufficiale dell’esercito napoleonico, nel 1798 si trovò al seguito delle truppe napoleoniche nella Campagna d’Egitto, e dove rimase poi per molti anni svolgendo mansioni diplomatiche con l’importante incarico di Console Generale.
Fu tra i primi a mettere piede negli scavi della grandiosa città di Tebe
Grazie al suo peso politico unito alla grande passione per l’archeologia, riuscì ad essere presente in tutti gli scavi archeologici di maggior rilevanza che in quel periodo, grazie ad un enorme e ritrovato interesse mondiale, fiorivano in ogni parte d’Egitto, mettendo insieme una collezione personale di grande rilievo che tra mummie, papiri, monili, statue e sarcofagi arrivò in breve a contare circa 8.000 pezzi.
Collezione che il diplomatico italiano stava per vendere alle autorità francesi, ma è grazie all’intervento di Carlo Vidua, Conte di Costanzo, grande viaggiatore ed esploratore, che riuscì a far acquisire tutta la collezione del Console al governo Piemontese per la cifra, importante per quei tempi, di quattrocentomila lire.
Era il 1824, il re di Sardegna Carlo Felice di Savoia, riunite le collezioni Donati e Drovetti ad altre antichità possedute da Casa Savoia, diede vita al primo Museo egizio al mondo: il Museo egizio di Torino.
Passa ancora del tempo ed arriviamo al 1903, quando il direttore del Museo egizio di Torino, l’egittologo Ernesto Schiapparelli, volle fortemente istituire una missione archeologica italiana in Egitto, che nonostante gli scarsi mezzi economici di cui disponeva, riuscì a portare a termine numerose campagne di scavi fino ad arrivare alla grandiosa scoperta che diede lustro ai colori italiani in tutto il mondo, della tomba di Nefertari, considerata a tutt’oggi, la tomba più bella della Valle delle Regine a cui si unisce la scoperta nella necropoli di Tebe della tomba dell’architetto reale Kha, quest’ultima trasportata in Italia ed interamente ricostruita e visibile nel museo egizio di Torino.
All’epoca gli accordi prevedevano che i reperti rinvenuti negli scavi in territorio egiziano venissero equamente ripartiti tra lo stato finanziatore della missione archeologica ed il governo egiziano.
Con il tempo le regole sono cambiate e ogni ritrovamento oggi viene acquisito interamente dalle autorità egiziane e rimane in Egitto.
Ora, attraversando quei saloni, sono certa che in lontananza potrai sentire l’eco della curiosità, del coraggio e dell’ingegno italiano che tanto ha messo in campo per riunire secoli di storia egizia, affinché tu possa vederli tutti insieme in un pomeriggio, semplicemente varcando il portone, di un magnifico palazzo seicentesco, in via dell’Accademia delle Scienze al civico sei.
Buona visita.