I misteri di Nan Madol una realtà fluttuante tra falso e reale.
Prime tracce delle magnifiche e imponenti strutture in pietra, blocchi alti 25 metri e con uno spessore di 17 metri, furono scoperte nell’Oceano Pacifico, più esattamente nella laguna esterna all’isola micronesiana di Pohnpei, nel 1928.
Di recente, grazie alle tecnologie satellitari, gli archeologi sono stati in grado di individuare la misteriosa città – risalente ad un periodo compreso fra il I-II secolo a.C che si estende su 92 isolette artificiali collegate da viadotti.
Strutture di forma prismatica in pietra nera, del peso complessivo di 750mila tonnellate, edificate su una barriera corallina: una notevole sfida ingegneristica anche per i tempi moderni, realizzata migliaia di anni fa. In che modo?
Nan Madol, capitale dell’antica dinastia Sau Deleur, sarebbe stata abitata in totale da circa 30mila persone. Per erigerla, gli abitanti avrebbero dovuto spostare in media 1850 tonnellate di basalto all’anno per quattro secoli. Nessuno è in grado di spiegare come possano aver compiuto una simile impresa. In base alla composizione chimica delle rocce4, i blocchi provengono dal lato opposto di Pohnpei: un tragitto di oltre 40 km per giungere alle barriere coralline sommerse che sono le fondamenta di Nan Madol. Il sito megalitico, il cui nome originale è Sounahleng – dal significato letterale di “scogliera del Paradiso” – rappresenta l’unica città al mondo ad essere edificata sopra una barriera corallina.
La complessità della costruzione è tale da suscitare un arcano timore fra le popolazioni del luogo che vi conducono i turisti soltanto nelle ore diurne, essendo impauriti dagli avvistamenti notturni di misteriose sfere incandescenti – e una varietà di interrogativi fra gli studiosi.
Sull’isola non sono state rinvenute tracce di meccanismi utilizzati per la lavorazione o il trasporto dei blocchi basaltici, né leve per il loro sollevamento.
I nativi pohnpeiani narrano leggende che si tramandano da generazioni, storie relative alla venuta di esseri di altezza paragonabile a giganti, dotati di poteri sovrannaturali. Essi temono tuttora di visitare le rovine di Nan Madol, credendole infestate da fantasmi.
Difatti, nella città furono sepolti i primi capi della dinastia Sau Deleur: la prima sepoltura monumentale risale al 1200 a.C., epoca in cui fu costruita la prima tomba in pietra e corallo. Dopo tale evento cerimoniale, le costruzioni megalitiche proseguirono fino al 1600 d.C.
Alcuni punti della città sono orientati verso il sorgere della costellazione di Orione, mentre il settore Nord-orientale, che era il luogo religioso e mortuario, presenta i vertici rivolti verso il sorgere del Sole.
Il più complesso edificio è il Nandauwas, l’obitorio reale.
Esteso su un’area superiore a quella di un campo di calcio, presenta pareti alte quasi otto metri ed uno soltanto dei suoi cardini pesa 50 tonnellate.
La totalità degli edifici è protetta dall’innalzamento delle maree con imponenti frangiflutti e barriere. Tombe circondate da alte mura sono state localizzate sulle isole di Peinkitel, Karian e Lemonkov.
Chi erano i Sau Deleur? Una serie di capi dominò Pohnpei per molti secoli: discendenti di Olohsopa che esercitarono un enorme potere, sino a trasformarsi in tiranni. Tale periodo storico viene indicato come “il tempo del Signore di Deleur” (Mwehin Sau Deleur).
Le leggende tramandate oralmente descrivono Olohsopa ed il suo gemello Olohsipa come esseri dotati di poteri occulti: si narra che un pozzo dell’isola di Idehd ospitasse l’anguilla sacra che incarnava una divinità marina, nutrita da sacerdoti con carne di tartarughe appositamente allevate. Enigmi che avrebbero inoltre ispirato la narrazione della città morta di R’lyeh, ne ‘Il richiamo di Cthulhu’ (1928) di Howard Philip Lovecraft.
Man Madol un mistero con qualcosa da nascondere
Vanno citati a questo punto alcuni dei presunti reperti preistorici che si sono dimostrati falsi o inesistenti:
Il disco genetico, una pietra nera circolare con delle raffigurazioni corrispondenti all’evoluzione, la riproduzione umana ed alla divisione cellulare come appare al microscopio moderno.
Secondo quanto dichiarato nel 2001 dal curatore della mostra ‘Unsolved Mysteries’ Klaus Dona, il manufatto sarebbe risalente a circa 6mila anni fa.
Analizzato ai raggi X dalla mineralogista Vera Maria Felicitas Hammer del Museo di Storia naturale di Vienna, risulta essere composto di feldspato, quarzo e mica – ossia, include materiali moderni pertanto è un falso;
I dischi di pietra di Dropa, a quanto pare, tali dischi non sarebbero mai esistiti: si tratterebbe, per sua stessa ammissione, di una invenzione letteraria dello scrittore Kayl Robin-Evans, nel volume ‘Sungods in Exile’ (1978), scritto con lo pseudonimo di David Gamon.