Niccolò Circignani, detto il Pomarancio per i suoi natali in terra toscana, avvenuti nel 1530 esattamente a Pomarance, attualmente nel territorio della provincia di Pisa.
Il valore di Niccolò Circignani come artista lo si trova documentato in carte riguardanti commissioni di opere di abbellimento e ornamento di chiese, principali o minori, in tutto il territorio dell’Italia centrale.
Come d’uso per l’epoca, tutte le strade per gli artisti portavano in qualche modo a Roma, con il suo grande fermento culturale ed artistico ben si prestava ad accogliere ogni genere di artista.
Vi era posto per gli apprendisti come per coloro che già sentendosi forti delle proprie possibilità, avevano nella città eterna l’occasione di appagare la propria curiosità artistica cimentandosi in nuovi percorsi formativi.
Fu a Roma che nel 1563 Niccolò Circignani ebbe l’ingaggio di affrescare gran parte della Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio.
Un lavoro come l’artista già aveva realizzato e anche con pregevoli risultati.
Quello che Niccolò Circignani riuscì a dipingere nella Basilica romana rimarrà per sempre un mistero
Ebbe, come dicevo, l’incarico di affrescare l’ambulacro della Basilica di Santo Stefano al Celio.
La committenza diede indicazioni che il lavoro dovesse essere totalmente realizzato con scene di martirio.
Niccolò Circignani, lo sappiamo dalle opere precedentemente realizzate, era avvezzo a questo tipo di committente, tanto da aver avuto in tal senso, sempre ottimi riscontri che gli procuravano a stretto giro altri lavori pittorici.
Nella Basilica di Santo Stefano al Celio però, Niccolò Circignani, realizzò qualcosa che definire misterioso è poco.
Quando l’artista infatti ultimò la sua opera, fu chiaro fin da subito che avesse realizzato uno dei cicli pittorici più cruenti e oscuri dell’intera storia dell’arte.
Le esecuzioni del martirio dei santi non vengono dall’artista in nessun modo velate o mitigate.
Sembra quasi che d’imperio e con consapevole volontà, in tali scene vengono sottolineati e messi in risalto i particolari più sanguinarî e cruenti.
Fra tutti, il martirio di Sant’Agata, assume toni decisamente e realisticamente raccapriccianti
La santa è raffigurata con le tenaglie conficcate nelle carni, legata su di una tavola di legnointrisa del proprio sangue, stretta a tal punto da non potersi muovere.
Parimenti l’affresco che raffigura San Primo, colto esattamente nel momento in cui le fiamme appiccate dai suoi truccatori iniziano a bruciargli la pelle viva che comincia, e nell’affresco è ben rimarcato, ad emettere fumi tipici della combustione.
Non mancano santi realisticamente rappresentati nell’atto di essere bolliti vivi o sbranati e fatti brandelli da cani famelici con le fauci grondanti di sangue.
L’apice della crudeltà pittorica raffigurata da Niccolò Circignani viene raggiunta forse nella rappresentazione del martirio di San Pietro d’Alessandria, letteralmente fatto in più e più pezzi (con tanto da un boia armato di scimitarra e il tutto avviene in una pozza di sangue.
Un’esperienza intensa quella del pittore Niccolò Circignani, senz’altro con altri esempi nella storia dell’arte ma in questo caso degno di una cruenta fuori dal comune e che comunque stride con l’esperienza pittorica dell’autore in tutta la sua produzione precedente e futura.
La critica in tal senso è divisa nell’interpretare quella che neanche sembra una metamorfosi ma bensì un momento consolabile esclusivamente a quel contesto.
Non mancano a spiegazione del mistero di tanta cruenta le voci che davano come posseduto lo stesso artista o altresì, guidato dalle stesse mani del demonio nel raffigurare il martirio dei santi.
Cosa accadde per davvero non lo sappiamo di certo e non credo lo sapremo mai se non come ulteriore teoria data da probabili nuovi studi sull’argomento.
Resta il fatto che, e su questo sono tutti concordi, che il Pomarancio, nella Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio ha lasciato l’impronta di un mistero insoluto che a tutt’oggi mette i brividi solo a guardarlo.