Quando parliamo di arti pittoriche e stili, noi occidentali ci soffermiamo molto più facilmente su stili a noi più vicini, come il Barocco, il Romanticismo, il Gotico e così via. Difficilmente pensiamo ad una contemporaneità con il mondo dell’arte orientale. Così, mentre in Europa ammiriamo i capolavori dell’Impressionismo, in Giappone ammiriamo l’arte Nihonga.
Nihonga (日本画) è un termine giapponese formato da tre caratteri, che significa letteralmente “pittura in stile giapponese”. Fu coniato nel periodo Meiji (1868-1912) dagli stessi artisti nipponici che vollero mettere in evidenza caratteristiche tecniche e stilistiche di questo tipo di pittura contemporanea che aveva fondamento nell’arte tradizionale.
Il termine Nihonga servì anche ad apportare un’ulteriore distinzione nel mondo dell’arte nipponica. Infatti, nel periodo Meiji, ci fu una forte influenza occidentale, che modificò anche la pittura. Si arrivò a fare una distinzione fra questa pittura tradizionale da quella che mostrava forti influenze da parte dell’arte occidentale.
La pittura Yōga (洋画), letteralmente “pittura di stile occidentale”, era un fenomeno praticamente inedito nell’ambito della cultura nipponica, frutto dell’impatto che ebbe l’improvvisa apertura avvenuta poco dopo la metà dell’Ottocento del Giappone alle nazioni straniere, europee e statunitense in particolare.
Il confine tra pittura in stile giapponese e pittura in stile occidentale non è ben definito come si potrebbe immaginare. Molti tra gli artisti attivi in quell’epoca miscelarono tradizione e novità con la creazione di opere che riesce difficile inserire nell’una o nell’altra categoria.
Osservando, ad esempio, le opere di Kanō Hōgai ( 1828-1888) e di Hashimoto Gahō ( 1835-1908), eredi della gloriosa e longeva Scuola Kanō, si può capire quanto lo stile e le tecniche della pittura occidentale abbiano contribuito alla modernizzazione della loro arte in stile tradizionale.
La separazione fra Nihonga e Yōga la troviamo nei materiali usati che sono: per il Nihonga, i pigmenti minerali applicati a pennello su carta washi o su seta e, per lo Yōga, l’olio su tela. Tuttavia, alcuni artisti Nihonga hanno adottato il chiaroscuro e la prospettiva occidentali.
La commistione degli stili non è una caratteristica sconosciuta ai nipponici, ma è un tratto da sempre ricorrente nell’arte giapponese a dispetto di ogni tentativo di categorizzazione. Già in epoca Heian (794-1185), se non prima, si venne a creare una dualità tra Yamato-e ( pittura di stile giapponese) e Kara-e (pittura di stile cinese).
Stile e materiali dell’arte Nihonga
Il Nihonga tocca tutti gli stili tradizionali giapponesi, dalla scuola Kanō a quella Rinpa a quella Maruyama, combinandoli e fondendoli fra loro. Rispetto allo Yamato-e ha una varietà infinita di temi e di soggetti. Nella rappresentazione della natura, il Nihonga tende alla semplificazione e alla stilizzazione, eliminando il superfluo e riducendo gli elementi naturali alla loro essenza, spesso valorizzandone l’aspetto dinamico.
Le opere Nihonga si distinguono in dipinti monocromi o sumi-e, ottenuti mediante l’impiego di inchiostro nero di china (sumi) composto da fuliggine e colla di derivazione animale, e dipinti policromi, realizzati utilizzando pigmenti che sono sempre di origine naturale e non di sintesi: minerali, coralli, conchiglie di molluschi, argille (impiegate per rendere le tonalità della terra), insetti, come le larve della cocciniglia, o piante, come la garcinia (usati entrambi per i rossi vibranti), pietre semi-preziose quali azzurrite (impiegata per il blu), malachite (verde), cinabro (rosso).
I iwaenogu, pigmenti minerali, sono ridotti in frammenti dalla granulometria più grossolana o più fine: a seconda delle dimensioni dei frammenti, il colore sarà più intenso o più tenue. I pigmenti devono essere miscelati con una colla di origine animale (nikawa), per aderire correttamente al supporto cartaceo o serico. Col pennello si stendono più strati successivi di colore, che viene, di volta in volta, diluito con l’acqua.
Questa tecnica, che ricorda quella occidentale dell’acquerello, conferisce ai dipinti Nihonga il caratteristico aspetto a tenui e sfumate gradazioni di colore. Inoltre, la sovrapposizione degli strati di colore crea un effetto di profondità tipico dei dipinti Nihonga.
Di fondamentale importanza è anche il gofun, il carbonato di calcio dal caratteristico colore bianco derivato da conchiglie di ostrica ridotte in polvere, ampiamente usato per gli sfondi. Per questi ultimi sono impiegate anche foglie d’oro, d’argento e di platino, anche ridotte a striscioline o in frammenti, che conferiscono ai dipinti un senso di ricchezza e brillantezza.
Originariamente i dipinti Nihonga venivano realizzati per essere montati su rotolo da appendere alle pareti (kakemono) oppure su rotoli da srotolare orizzontalmente per la lettura (emakimono); pitture nihonga sono eseguite anche per il montaggio su porte scorrevoli (fusuma) oppure su paraventi (byōbu).
A rendere le opere Nihonga così delicate e raffinate, ruolo importante hanno i supporti utilizzati. Il supporto più utilizzato è la carta giapponese (washi), ricavata dal gelso, ma anche da bambù, canapa, riso e grano. Ma anche l’utilizzo della seta (eginu) è molto diffuso.
Le tecniche utilizzate
Le tecniche utilizzate nell’arte Nihonga derivano dalle scuole tradizionali giapponesi, come Kanō e Rinpa. Una prima tecnica è kouroku, ossia l’uso dei contorni neri per definire gli oggetti. L’impiego dei contorni, tipico dell’arte giapponese tradizionale, non è naturalistico, e per tale aspetto il Nihonga si distingue dallo Yōga, che aveva invece eliminato i contorni troppo forti, avvicinandosi al realismo di stampo occidentale.
Alcuni artisti Nihonga hanno però preferito mokkotsu (“senz’ossa”) o la tecnica derivata mōrōtai (arte “indefinita”) che, facendo a meno dei contorni, modella le figure ricorrendo a delle gradazioni di colore. L’espressione mōrōtai fu originariamente dispregiativa, come quella di “Impressionismo”.
Altri procedimenti sono: tsuketate, tarashikomi, bokashi, sumi-nagashi e kagaki.
Tsuketate è un tipo di tecnica nella quale gli oggetti sono definiti non dai contorni, ma dallo spessore, dalla densità e dall’energia delle pennellate; tarashikomi o gocciolamento, consiste nel far cadere, su uno strato di pittura non ancora asciutto, gocce di pigmento che formano macchie di colore differenti. L’effetto sfumato si ottiene mediante la diluizione del colore con l’acqua ed è chiamato bokashi.
La tecnica definita sumi-nagashi o tecnica dell’inchiostro fluttuante, prevede l’utilizzo della carta impressa ponendola sulla superficie di acqua in cui si è fatto precedentemente cadere l’inchiostro, in modo che formasse motivi casuali dall’aspetto marmorizzato.
Infine kegaki è la fine tecnica usata per dipingere, uno ad uno, con l’inchiostro sumi e mediante un pennello sottilissimo, i fili che compongono la capigliatura (specialmente intorno all’attaccatura dei capelli) o il pelo degli animali, ottenendo un effetto visivo di morbidezza.
L’arte Nihonga: una lettura in chiave moderna
Per ammirare l’arte Nihonga, non è necessario andare troppo indietro nel tempo, ma la si può apprezzare anche in artisti contemporanei, come Ikenaga Yasunari.
L’artista Ikenaga Yasunari, nato nel 1965 a Oita, è autore di eleganti Bijin-ga, dipinti di belle donne, in cui rielabora, con un tocco di modernità, alcune pratiche pittoriche proprie del Nihonga.
Nelle sue opere Yasunari mette in atto una sintesi fra tradizione ed estetica contemporanea, tra pittura antica e modernismo occidentale, l’assenza di realismo, la totale abolizione del chiaroscuro. Si ritrova l’uso di supporti tradizionali, che conferiscono alle sue pitture un amalgama morbido di colori. L’iconografia femminile rappresenta, invece, negli abiti e nelle pose disinvolte e maliziose, un chiaro richiamo alla nostra epoca.
Un connubio perfetto tra tradizione e modernità che avvicina i contemporanei allo studio di quest’arte millenaria: l’arte Nihonga.