Il circo di oggi è nato in Inghilterra alla fine del XVIII secolo grazie al cavallerizzo Philip Astley. Come esperienza di intrattenimento che vede la presenza in scena di acrobati, animali e pagliacci, risalire alla scuola di equitazione che Astley fondò a Londra.
Il circo fu originariamente sede di giochi di coraggio e di abilità, intervallati a brevi intermezzi comici; nella prima metà dell’Ottocento ospitò pantomime e rievocazioni di grandi battaglie, per assumere infine la veste attuale.
Il tema del circo è stato affrontato in diverse occasioni, in particolare nel corso del XIX secolo e del XX secolo da vari artisti della contemporaneità. Il loro intento è quello di rappresentare il circo come metafora della vita, innescando così una sorta di rivoluzione del linguaggio.
Picasso fu uno dei più grandi esponenti dell’arte circense.
I legami che intrattenne con il mondo del circo sono stati molto frequenti durante tutta la sua carriera. Emerge, però, sin da subito un forte senso di inadeguatezza, perché l’Arlecchino è in realtà l’alter ego dell’artista. Questo personaggio che rimanda a figure marginali del periodo blu è il vero eroe di quello che verrà definito come il periodo rosa.
Le opere che vanno dalla fine del 1904 all’inizio del 1906 (incentrate solo su questo tema) hanno per protagonisti saltimbanchi o artisti di strada. Si contano circa 300 lavori di questo tipo, fra dipinti, incisioni, sculture e ceramiche. Tanto che può essere definita quasi un’attrazione.
Un amore cominciato in giovane età quando Picasso, adolescente, andava a sedersi sui gradoni del circo Tivoli a Barcellona, consumando una precoce storia d’amore con la cavallerizza Rosita del Oro e dipingendo cavalli alle prese con movimenti rotatori e ipnotici.
Quando nel 1904 si trasferisce a Parigi, Picasso ritrova l’atmosfera circense al Medrano che diviene una indispensabile fonte d’ispirazione per le opere di quel periodo. Egli non solo assiste agli spettacoli, ma frequenta costantemente la troupe degli artisti durante le pause dal lavoro.
Questa forma di integrazione gli permette di rappresentarne la vita da un nuovo punto di vista. Sicuramente non convenzionale. Nelle sue opere, infatti, Picasso non mostra ciò che siamo abituati a vedere sul palco, ma incentra il suo lavoro principalmente sulla triste vita degli artisti del circo.
In Madre e figlio (1906) una madre siede a un tavolo accanto al figlio che indossa gli abiti scena. Tra i due non vi è alcuna comunicazione e gli sguardi si perdono oltre la cornice della tela. Nonostante gli occhi non siano rivolti allo spettatore, l’opera ci infonde un profondo senso di inquietudine mischiato a dolcezza e intimità.
Al 1905 appartiene Famiglia di saltimbanchi (conservata a Washington ala National Gallery of Art), uno dei capolavori del cosiddetto periodo rosa. Un gruppo di artisti circensi posa circondato da un paesaggio senza tempo.
I personaggi sembrano icone dell’emarginazione e Picasso li dipinge come simbolo della sofferenza umana. Sebbene le figure appaiano strette l’una all’altra, esse sembrano tutte psicologicamente isolate fra di loro. Ciò che prevale un forte senso di introspezione e di contemplazione.
Ne La famiglia di acrobati, un giovane uomo vestito con una maschera carnevalesca siede accanto ad una donna. In basso sulla destra, invece, si trova una scimmia che guarda ammirata la donna con il bambino. Nell’insieme potrebbe anche rappresentare una scena felice, un momento di raccoglimento familiare. Si evince nelle loro espressioni un velo di malinconia e solitudine.
In I Due Fratelli (1906) nota anche con il titolo Acrobata e giovane equilibrista, vi è una sorta di fraterna comunicazione fra le due figure vestite di una velate malinconia. I corpi appaiono allungati ed esili e la solidità delle figure (soprattutto dell’uomo di spalle) ricordano quelle delle statue greche arcaiche.