Arriva nelle sale italiane dal 25 dicembre Primavera, esordio cinematografico di Damiano Michieletto, regista tra i più rilevanti della scena lirica europea. Presentato al Toronto International Film Festival e già premiato a Chicago con l’Audience Award for the Best International Feature, il film propone una rilettura intensa e trattenuta dell’universo musicale e umano di Antonio Vivaldi, osservato attraverso lo sguardo di una giovane violinista rinchiusa nell’Ospedale della Pietà di Venezia.
Liberamente ispirato al romanzo Stabat Mater di Tiziano Scarpa, il film non segue la strada del biopic tradizionale, ma sceglie un racconto intimo, concentrato su corpi, silenzi, desideri e limiti. Al centro non c’è solo la musica, ma il rapporto tra potere, destino e identità femminile in un Settecento che appare sorprendentemente vicino al presente.
L’Ospedale della Pietà come spazio chiuso e simbolico

La vicenda è ambientata nell’Ospedale della Pietà, celebre istituzione veneziana che accoglieva orfane e ragazze abbandonate, educandole alla musica fino a farne una delle orchestre più apprezzate d’Europa. Dietro questo prestigio internazionale, il film mostra però una realtà fatta di reclusione, anonimato e controllo. Le giovani musiciste possono esibirsi solo dietro una grata, invisibili al pubblico, prive di un nome che le identifichi davvero.
In questo contesto vive Cecilia, interpretata da Tecla Insolia, vent’anni, talento straordinario al violino e nessuna possibilità di scegliere il proprio futuro. Le opzioni sono poche e tutte imposte: un matrimonio combinato con un mecenate o l’attesa, quasi mitologica, che una madre sconosciuta torni a reclamarla.
L’arrivo di Vivaldi e l’incontro che non salva
L’equilibrio fragile dell’orfanotrofio viene scosso dall’arrivo del nuovo maestro di violino, Antonio Vivaldi, interpretato da Michele Riondino. Non un genio celebrato, ma un uomo segnato dalla malattia, dal ruolo sacerdotale e da un’ambizione che lo rende a sua volta prigioniero.
Riondino costruisce un Vivaldi asciutto, nervoso, lontano dalla retorica del compositore illuminato. La sua relazione con Cecilia nasce dalla musica, ma non evolve in una redenzione reciproca. Come sottolinea l’attore, il film racconta “due solitudini che restano tali anche quando si incontrano”. La collaborazione artistica diventa uno spazio di possibilità, ma non annulla le distanze, né le asimmetrie di potere.
Musica come linguaggio di resistenza
In Primavera, la musica del Settecento non è un semplice accompagnamento, ma una forza drammaturgica. È attraverso il suono che Cecilia esprime ciò che non può dire, ciò che non le è concesso vivere apertamente. La musica diventa un atto di resistenza silenziosa, una forma di modernità che scardina l’ordine senza proclami.
Michieletto lavora per sottrazione, evitando soluzioni narrative rassicuranti. Il film non cerca il colpo di scena né l’epica del talento che trionfa, ma si concentra sulla tensione costante tra desiderio e limite. Anche la figura di Vivaldi resta ambigua, sospesa tra ispirazione e sfruttamento, tra visione artistica e necessità personale.
Uno sguardo femminile su potere e invisibilità
Uno dei nuclei più forti del film è la riflessione sulla condizione femminile. Cecilia è invisibile perché priva di dote, di nome, di riconoscimento sociale. La sua identità è definita solo dal talento, che però appartiene all’istituzione più che a lei stessa. La punizione per ogni scelta autonoma è sempre pronta, inscritta in un sistema che tollera l’eccellenza solo finché resta controllabile.
Tecla Insolia restituisce un personaggio complesso, introverso, attraversato da una sofferenza che non esplode mai in ribellione plateale. L’attrice riconosce affinità con altri personaggi femminili ribelli della letteratura e del cinema, ma sottolinea come l’emancipazione di Cecilia segua un percorso diverso, più intimo e meno trionfale.
Un debutto cinematografico consapevole
Con Primavera, Damiano Michieletto compie un passaggio significativo dal teatro musicale al cinema. Il regista dichiara di non aver voluto osare eccessivamente, preferendo raccontare una storia che conosce, con strumenti che sente propri. Il risultato è un film controllato, visivamente elegante, che rinuncia alla spettacolarità per concentrarsi sulla densità emotiva.
Michieletto parla apertamente del desiderio di uscire dalla propria zona di sicurezza e di misurarsi con un linguaggio nuovo. Questo approccio si riflette in una regia che osserva più che giudicare, lasciando allo spettatore il compito di colmare i vuoti, di interrogarsi sulle responsabilità dei personaggi e sulle strutture che li imprigionano.
Un cast corale e una scrittura misurata
Accanto a Michele Riondino e Tecla Insolia, il film si avvale di un cast solido che include Andrea Pennacchi, Fabrizia Sacchi, Valentina Bellé e Stefano Accorsi. La sceneggiatura, firmata da Ludovica Rampoldi, sintetizza efficacemente il senso profondo del racconto: la storia di due prigionieri che, incontrandosi, intravedono una forma di libertà che non coincide con la fuga, ma con la consapevolezza.
Primavera si muove così tra musica, storia e politica del corpo, offrendo un ritratto non celebrativo di Vivaldi e un racconto potente sull’invisibilità femminile. Un film che interroga il passato per parlare del presente, senza alzare la voce, ma lasciando tracce persistenti.
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