Scaltro, sfaticato, dalla voce stridula, dotato di un’ironia pungente e ingordo di pastasciutta.
Simbolo dell’ermafroditismo: la parte superiore del corpo che richiama il genere maschile – con il cappello a punta e il naso aquilino – e quella inferiore i tratti tipici del corpo femminile – con il ventre gravido, le natiche e il petto prominenti.
Pur essendo cambiato decine di volte nel corso degli anni, Pulcinella non ha mai perso quelle caratteristiche basilari che lo contraddistinguono e lo rendono vivo, al pari di una persona in carne ed ossa, nonché simulacro di significati ad oggi definiti universali.
È a pieno titolo la maschera più bella del Carnevale: talmente bella che, nel 2019, è stata ufficializzata la sua candidatura alla lista dei patrimoni immateriali dell’umanità.
Pulcinella: una storia lunga centinaia di anni
Secondo alcuni studi condotti da Niccolò Lettieri e pubblicati nella sua opera, Istoria della antichissima città di Suessola e del vecchio e nuovo castello di Arienzo del 1778, le origini di Pulcinella risalgono al IV secolo a.C.
Scrive Domenico Abatemarco, magistrato, politico e patriota italiano, in un articolo pubblicato nello Zibaldone di Napoli il 9 Ottobre del 1809:
Pulcinella è di Acerra, che già chiamossi Atella, città che al pari di Napoli, Cuma, Capua ed altre fu degli Oschi, ovvero Osci, popolo antichissimo e licenzioso della Campania.
È noto che quella città si rese celebre per le sue commedie liberamente giocose, che i Romani chiamavano Atellanae Fabulae, e la di cui mercé la favella Osca si conservava in Roma, quando la nazione era già dimessa e confusa co’ popoli vicini.
Donde venne che Atellanus in latino, ed Osco in volgare vogliono dire anche buffone; perché gli Osci e gli Atellani faceano arte del far ridere.
E da qui non potrebbe conchiudersi che Paolo Cinella di Acerra fu discendente legittimo, ed imitatore felice degli antichissimi celebrati buffoni di Atella, e quindi di origine Osca sia Pulcinella, il quale da lui prese il nome?
Gli studi condotti da Attilio De Lorenzi fanno pensare alla presenza di Pulcinella nelle stesse Atellanae Fabulae: tra i quattro stereotipi che incarnano l’anima degli spettacoli, infatti, ve ne sono due in particolare che potrebbero essere progenitori della maschera odierna.
Giovan Battista Doni e Margarete Bieber la associano a Maccus, il mangione sciocco (dal greco mala, maxilla “uomo dalle forti mascelle”, oppure maccoan, “fare il cretino”): è un uomo dalla voce chioccia, strampalato, tonto e molto goloso, che viene costantemente preso in giro. Indossa un vestito bianco e un cappello per coprire la calvizie.
Altre voci autorevoli indicano, invece, Kikirrus: personaggio la cui maschera teriomorfa richiama le fattezze di un gallo. Molto più simile al nostro Pulcinella, il cui nome napoletano, Pulecenella, deriva da “polliceniello”, piccolo pulcino.
Pulcinella: dalle corti dei re alla Commedia dell’Arte
In alcune poesie, recitate nel tardo medioevo presso le corti dei re, la parola “Pulcinella” viene usata per indicare un individuo cialtrone e nullafacente.
Si pensa che il personaggio sia stato creato traendo spunto da Oddo di Policeno o Polliceno: nipote di papa Martino IV, Cavaliere del Consiglio e Viceré del Regno di Gerusalemme per Re Carlo I, nel 1290.
Tra il 1500 e il 1600, periodo in cui nasce e si sviluppa la Commedia dell’Arte, l’attore napoletano Silvio Fiorillo inizia a dare forma al Pulcinella moderno, prendendo spunto dal già citato Paolo Cinella (o Cinelli), detto Paoluccio della Cerra: un contadino acerrano ritratto dal pittore Ludovico Carracci.
Si possono notare, sul volto dell’uomo, i tipici tratti della mezza maschera, anche detta “lupo”: naso adunco, rughe e bitorzoli – oltre al caratteristico cuppulone.
Leggenda vuole che Paolo Cinella avesse una “voglia di vino” sulla parte superiore del volto: cosa che non passa inosservata ad un gruppo di attori e saltimbanchi francesi di passaggio ad Acerra, che lo invitano ad entrare nella loro compagnia. Il contadino, dotato di uno spiccato senso dell’umorismo e di un talento naturale per la recitazione, li segue e ne diventa capocomico.
Secondo altre fonti, Pulcinella prende spunto dal suo primo interprete e ideatore, Zanni Policiniello, da cui Fiorillo ha tratto spunto per creare una versione rivista del personaggio.
Ulisse Prota Giurleo scrive invece di un tale Mariotto Policenella, falegname di Perugia immigrato a Napoli nel 1609: un uomo sgradevole, che disturba gli attori della Commedia durante le prove con rumori di asce, seghe e scalpelli. Per vendicarsi di lui, Fiorillo lo espone al ridicolo creandone una caricatura.
La maschera di Pulcinella nell’arte: Viaggio alla Luna
1835: il quotidiano New York Sun pubblica sei articoli, che descrivono con rigore scientifico le eccezionali meraviglie avvistate sul suolo lunare, tra cui vengono segnalate anche delle creature extraterrestri.
Il primo articolo, “GRANDI SCOPERTE ASTRONOMICHE COMPIUTE RECENTEMENTE DA SIR JOHN HERSCHEL, L.L.D. F.R.S. &c. al Capo di Buona Speranza”, introduce i lettori alle prime scoperte che l’egregio dottore – figlio di William Herschel, l’astronomo scopritore di Urano – avrebbe fatto, avvalendosi di un gigantesco telescopio.
Piramidi di quarzo, foreste, mari, mandrie di bisonti, un unicorno blu appollaiato sulle colline lunari e creature anfibie che sguazzano nei fiumi del satellite.
Le notizie fanno il giro dell’America e, in ogni occasione pubblica, Herschel viene tempestato di domande: ma ecco che l’astronomo ribadisce, più e più volte, la sua estraneità ai fatti. Alla sua testimonianza si unisce quella di Edgar Allan Poe, che denuncia il New York Sun per aver copiato palesemente un suo racconto.
Il pubblico scopre così a malincuore che si tratta solo di una grossa bufala, successivamente denominata The Great Moon Hoax.
Intanto però, diversi racconti sulle scoperte di Herschel hanno viaggiato oltre l’oceano e sono giunti alle orecchie di Pulcinella.
Insospettito dalle pubblicazioni dello scienziato, il personaggio decide di partire per lo spazio e dare un’occhiata più da vicino a questo fantomatico mondo lunare.
S’io no lo bbevo
s’io non lo ttocco
io no lo credo
non mme lo mmocco!
Con queste parole ha inizio il Viaggio alla luna illustrato da Fergola, Wenzel, Gatti e Dura nel 1936, racchiuso in 13 litografie di cui tre raffiguranti l’intrepida maschera.
Nella prima tavola, Pulcinella sale a bordo di un veliero su cui sono montati il soffio di un camino, per generare propulsione, una vela per sfruttare i venti spaziali e delle ruote dentate, che si incastrano negli anelli di una catena montata tra il molo Beverello e il suolo lunare.
L’illustrazione è un chiaro riferimento alla recente invenzione del primo piroscafo da crociera al mondo, il Francesco I: simbolo dell’avanguardia cantieristica della Napoli borbonica.
Nella tavola successiva, Pulcinella vede con i suoi occhi le meraviglie descritte nei racconti americani: le dipinge sulla vela, che mostra fiero nella terza tavola una volta tornato a Napoli, brindando alla sua incredibile avventura e al funzionamento del veliero.
Mirabbilia aggio visto e aggio toccato
Ercel le scoperte toje frietelle
io cchiù sfunno de te songo arrivato
e aggio visto cose strane e belle
’nfaccia a sta vela videle pittate.
La maschera di Pulcinella nell’arte: il Museo di Acerra
Allestito nel 1992 all’interno del Castello Baronale, ad opera del Centro di Cultura “Acerra Nostra”, è una mostra permanente fatta di documenti, testimonianze storiche, opere d’arte antiche e moderne che s’intrecciano con la storia contadina della città, in cui Pulcinella affonda le sue radici.
Il museo, di cui è direttore l’ex primo cittadino di Acerra Tommaso Esposito, è una vera chicca, nonché l’unico a ripercorrere per filo e per segno le origini e le avventure della maschera, senza tralasciare nemmeno un particolare.
È diviso in due sezioni: quella dedicata alla maschera e la sezione “Folklore di Terra di Lavoro antica Liburia”.
Le stanze di Pulcinella sono divise, a loro volta, in varie aree tematiche: “Il viaggio di Pulcinella e la Commedia dell’Arte”; “I natali di Pulcinella”; “Acerra e Pulcinella”; “Il vestito, la maschera ed il corno”; “Pulcinella e la Luna”;
“Pulcinella la fame e i maccheroni”; “Pulcinella e i padroni”; “I santi, i balocchi, il presepe e Pulcinella”; “La piazza ed il teatro”; “Le guarattelle”; “Pulcinella nel mondo” e infine “Il monumento a Pulcinella”, realizzato dall’artista Gennaro D’Angelo.
Tra le varie opere sono esposti anche i costumi, le maschere e le foto degli attori più famosi che hanno interpretato il personaggio, rari oggetti di artigianato campano, un gabbiotto teatrale da piazza del 1600 e un teatrino delle guarattelle.
La maschera di Pulcinella nel cinema e nel teatro
Impossibile nominare tutti coloro che, nel corso della loro carriera, hanno indossato la mezza maschera.
Tuttavia, fra le decine e decine di interpretazioni a cui abbiamo assistito nell’ultimo secolo, quella di Eduardo de Filippo può essere considerata, a onor del vero, la più innovativa.
Con il suo Ferdinando I Re di Napoli ha portato in scena non un semplice Pulcinella, ma il comico rivoluzionario: colui che esorta il popolo alla ribellione e che affronta faccia a faccia il potere senza piegarsi di fronte a nulla, nemmeno a una minaccia di morte.
Sarebbe inutile impiccare un attore, dice Eduardo in una scena del film: morirebbe l’uomo, certo, ma non Pulcinella. Egli è difatti un’entità immortale, che incarna il valore della libertà e il vero spirito della Napoli popolare: chiunque può interpretarlo e farsi portavoce del suo messaggio.
A indossare la “mezza sola”, nel Febbraio del 1970, un giovane Massimo Troisi che recita nella farsa di Antonio Petito, E spirete dint’ ‘a casa ‘e Pulcinella; insieme con Costantino Punzo, Peppe Borrelli e Lello Arena.
Proprio quest’ultimo dà la voce, nel 2003, al personaggio di Pulcinella Cetrulo da Cerra nel film d’animazione Totò Sapore e la magica storia della pizza.
“Massimo è Pulcinella senza maschera.
A parte che Pulcinella è stato, nel pieno del suo vigore, della sua vita centrale, censurato, e ha operato lo stesso senza maschera. Per me Troisi rappresenta il Pulcinella che porta.
Poiché Pulcinella è stato internazionale, Pulcinella è stato francese, Pulcinella è stato inglese, Pulcinella ha superato il Volturno.
Massimo ha fatto la stessa cosa, l’unico napoletano con la napoletanità che ha superato il Volturno, quindi per me rappresenta un’ultima possibilità che abbiamo avuto, da un punto di vista teatrale e cinematografico, di superare, di uscire dallo stereotipo della napoletanità, fine a sé stessa”.
Le parole di Federico Salvatore riecheggiano ancora oggi nella mente dei napoletani, che continuano a chiamare Massimo Troisi così: il Pulcinella senza maschera.
Antonio Petito stesso è stato, come il padre Salvatore, un celebre interprete della maschera nell’800; anzi: il più grande di tutti gli interpreti.
Detto Totonno ‘o Pazzo, per l’immensa energia che era in grado di sprigionare mentre recitava sul palco, è stato definito il vero Pulcinella, l’unico capace di valorizzarne l’irriverente vivacità, trasformandolo da “scemo del villaggio” a personaggio acuto e sarcastico.
Autore non solo dell’opera interpretata da Troisi, ma di altri titoli che hanno fatto la storia del teatro napoletano:
Pulicenella finto dottore e pezz’a l’uocchie, L’appassionate pe lo romanzo de lo zio Tom in cui affronta il tema del razzismo e La statua vivente spaventata da Pulcinella.
Antonio Petito ha ricreato, con la sua intensa attività di attore e sceneggiatore, la tradizione della Commedia dell’Arte e ha gettato le basi per il Varietà Novecentesco.
Interprete dei giorni nostri, Massimo Ranieri in Pulcinella di Manlio Santanelli e L’ultimo Pulcinella, film di Maurizio Scaparro che trae spunto da un copione di Roberto Rossellini.
Impossibile non nominare, infine, il Pulcinella dei Fratelli Ferraiolo: burrattinai che portano avanti la tradizione centenaria di famiglia, allietando grandi e piccini di tutta Italia con i loro spettacoli. Unica e inconfondibile, la voce stridula del loro personaggio.
La maschera di Pulcinella nella musica
Nel 1911, Libero Bovio ed Enrico Cannio compongono ‘A Serenata e ‘Pulecenella: storia di un guappo che imbraccia un mandolino e canta, sotto la finestra della sua amata.
I due autori si sono ispirati ad una serenata composta nel Settecento da Domenico Cimarosa, di cui è conservato lo spartito presso la Biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma.
Popolarissima, ‘A città e Pulecenella, canzone di Claudio Mattone che rende omaggio a Napoli, incisa per la prima volta dal Gruppo Aperto fondato da Mattone stesso nel 1992 e, da allora, cantata in tutto il mondo e interpretata da decine di artisti.
Ben più antica, La canzone di Zeza, diffusasi a Napoli durante il Seicento: periodo in cui viene istituzionalizzato il Carnevale Napoletano, che esplode in un caleidoscopio di sfarzi, giochi e spettacoli.
Attori e improvvisatori interpretano personaggi singolari, adottati poi nella Commedia dell’Arte: le future maschere carnevalesche.
Tra questi personaggi vi sono i protagonisti della Canzone di Zeza, ossia Pulcinella e la giovane figlia Tolla (o Vicenziella), innamorata, con grande disappunto del padre, dello studente calabrese Don Nicola.
Un brano popolare che parla di conflitto tra genitori e figli, con risvolti comici e un lieto fine.
Nel suo brano Suonno D’Ajere del 1997, Pino Daniele ha cantato di un Pulcinella che abbandona la maschera dell’ironia, levandola e uniformandosi al mondo di oggi, che ha divorato per sempre i sogni di ieri.
Tu nun si’ cchiù Pulecenella
Facive ridere e pazzià’
Mo t’arragge e pienze a’ guerra
E nce parle ‘e libertà
La Maschera, con il suo Pullecenella, ci descrive invece un personaggio sì rassegnato, ma di quella particolare rassegnazione tutta napoletana che è un’autentica filosofia fatta di amara leggerezza, concretizzata nella frase “cchiù nera d’ ‘a mezzanotte nun po’ venì”.
È cos’ ‘e niente je me ne vaco p’ ‘a strada mia
Vieni cu mmé te port’ ‘int’ ‘o vicolo ‘e l’Allerìa
Tanto cchiù nnera d’ ‘a mezanotte nun po’ venì
Tanto cchiù nnera d’ ‘a mezanotte nun po’ venì
La maschera di Pulcinella, patrimonio dell’umanità: pronta la candidatura Unesco
La candidatura viene accettata nel 2019, dopo due anni di incessante lavoro da parte del Comitato Pro Pulcinella, riunitosi per la prima volta nell’atelier dell’artista Lello Esposito per discutere e condividere le ragioni della proposta.
“Un Pulcinella che, nei secoli e soprattutto negli ultimi anni, ha subito una metamorfosi uscendo dall’immobilismo della tradizione e che è diventato viaggiatore nel mondo, che non mangia più solo gli spaghetti ma anche cus cus, cucina libanese, cinese”…
Le parole di Esposito sposano appieno il punto di vista dell’intera commissione, che concepisce nel corso dell’incontro una reinterpretazione moderna e internazionale della maschera acerrana.
Pulcinella ha incarnato per secoli l’anima del popolo napoletano in tutta la sua estrema complessità, nei suoi aspetti sia positivi che negativi: è il protettore di Napoli e Acerra, una sorta di secondo patrono, depositario di memorie e tradizioni plurisecolari.
Scrive Benedetto Croce nel suo saggio, Pulcinella e il personaggio del napoletano in commedia:
[a Napoli, Pulcinella si trova] dappertutto, come insegna di bottega (o in scultura o dipinto, talora uscente fuori da un mellone rosso aperto, talora anche le lettere del nome del proprietario formato da minutissimi pulcinelli),
nei giocattoli, […] nei presepi, dove era raffigurato non molti lungi dalla grotta del Redentore”.
Osserva tuttavia il dottor Domenico Scafoglio che la maschera non è più un simbolo soltanto partenopeo, ma divenuto con gli anni universale: Pulcinella è infatti capace di incarnare le passioni, le aspirazioni e illusioni di buona parte dell’umanità.
È la manifestazione di un modo di essere e di apparire che non avviene solo una volta. Quindi non ha carattere storico ma – viceversa – carattere in qualche modo metafisico.
Molti possono ritrovarsi in Pulcinella o, addirittura, ammirarlo.
Infatti egli è, come abbiamo visto finora, colui che si ribella ai soprusi dei potenti e alle ingiustizie sociali; che affronta i suoi problemi usando il cervello e ricorrendo, spesso e volentieri, a qualche sotterfugio; che riesce a cavarsela anche nelle situazioni più disperate, senza mai perdere il sorriso.
È dunque portavoce di un modo d’essere che ci unisce tutti, facendoci riscoprire le debolezze e i pregi che ci accomunano.