Icrewplay.com Arte inaugura questa rubrica di artisti emergenti con Raoul Bianchini, che vive e opera ad Albano laziale nei Castelli romani. Critico d’arte emergente che mi parlò per la prima volta di icone a Grottaferrata, davanti l’Abbazia di San Nilo, scrittore iscritto presso i circuiti degli scrittori dei Castelli romani. Giornalisticamente siamo sbocciati insieme collaborando con la testata on-line di informazione e critica teatrale e cinematografica www.leggocinema.com. Mi piace pensare che siamo stati i “pionieri” del giornalismo web, al quale abbiamo fornito importanti contributi in materia di critica teatrale, abbiamo creato un nostro sito www.albatrosfly.com che abbiamo dovuto chiudere per le complesse circostanze della vita. Ha collaborato con riviste letterarie come Orizzonti di Giuseppe Aletti, Terza Pagina per le edizioni Sovera, Il Carabiniere, ma anche con la pagina di Cronaca della redazione romana di Avvenire. Ha pubblicato nel 2004 il romanzo breve “Udire nel silenzio” con Sovera e nel 2007 ha vinto il premio letterario Ali penna d’autore con L’uomo dalle parole di vetro. Ha seguito come critico letterario degli scrittori di area serbo-croata, collaborato con il blog di Alessandria Post di Piercarlo Lava, alcuni interventi con Datanews, una testata edita dal Mibac, diretta da Mauro Ceci. Un uomo sopra le righe che opera ora dentro e ora fuori il nostro tempo, che ha un rapporto sensoriale con i suoi fogli sparsi in casa che “squadernano” diversi mondi, tanto per usare un termine a lui caro, una penna in grado di farsi pennello, un esteta, un istrione al quale la penna e la parola danno la giusta dimensione ora “barocca” per stupire, medievale e misteriosa nella cura con cui interpreta i simboli.
Raoul Bianchini, come è nato il tuo interesse per l’arte figurativa?
Negli anni universitari, ma precisamente a cavallo tra il 97 e il 98 quando a casa di una donna anziana ritrovai un’opera d’arte molto importante, un quadro del Gaulli detto il Baciccio o il Baciccia, lo andai a ricercare sull’enciclopedia. Entrai in contatto in ambito accademico con il docente universitario Vittorio Casale, allora critico d’arte e docente a Roma Tre. Inizialmente era incredulo, venne da me e col suo stupore mi chiese l’autorizzazione a pubblicarlo e gliela concessi. Da quel momento in poi, egli mi coinvolse all’interno di un percorso accademico. Io cominciai ad interessarmi della critica d’arte del Seicento, ma poi il mio percorso culturale artistico cambiò radicalmente da quando incontrai Silvana Casartelli Novelli e Angiola Maria Romanini. La Casartelli Novelli, studiosa di simboli e in particolar modo della semantica, la potremmo quasi definire “un Umberto Eco Artistico”, in quell’anno sabatico che ella prese studiò i simboli e la croce in altre culture semitiche e dedicò il suo libro ad Angiola Maria Romanini.
Le sincronie della vita mi permisero appunto di conoscere Angiola Maria Romanini, che è stata curatrice del patrimonio artistico del Quirinale sotto la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi. All’età di novanta anni ella comprese che la storia dell’arte medievale non poteva essere affrontata solo da un punto di vista storico, ma che doveva essere inglobata all’interno di un contesto prettamente simbolico. Erano gli anni in cui l’arte medievale viveva solamente di storicità, io iniziai a studiare i simboli, ad addentrarmi sempre di più, a realizzare delle pubblicazioni all’interno dell’università in forma di dispense per gli studenti e a mano a mano questo studio divenne fondamentale per la mia vita futura.
Rimanendo nell’ambito dell’Arte medievale che è fortemente allegorica, parlaci dei tuoi studi sull’Icona, un argomento poco conosciuto al grande pubblico
L’ambito medievale per quanto riguarda l’icona è molto particolare. Il grande pubblico conosce essenzialmente l’arte occidentale iconografica che è propria delle Chiese e dei luoghi di culto occidentali che non si può comprendere se non si approfondisce di pari passo con lo studio teologico.
Le icone invece appartengono all‘ortodossia della Chiesa orientale. Vengono dipinte da pittori considerati degli “eletti”, mi riferisco soprattutto ai pittori di grandi icone come quelle russe dove l’ortodossia è molto forte. Questo perchè per gli Orientali la presenza della divinità è dentro l’opera d’arte. Cristo è presente nelle icone in forma e in sostanza, nella maggior parte dei casi è rappresentato come pantocratore, colui che insegna la legge. La figura di Dio per gli Orientali è irrappresentabile; gli occidentali lo rappresentano spesso con la barba come ad esempio nel Giudizio. Il volto di Cristo lo possono ricostruire, si può ricavare dallo studio della Sacra Sindone, ma il volto di Dio no.
L’Occidente e l’Oriente sono riuniti nell’Icona di Rublev. Non vedete nessun Dio in alto, ma tre angeli, che rappresentano la sfera più alta e più vicina a Dio. Il Concilio di Nicea ha approvato questo tipo di rappresentazione e la Chiesa di Roma l’ha accettata come raccordo tra Oriente e Occidente. Sono tre figure identiche, a partire da destra, Padre, Figlio e Spirito Santo. Sotto questa icona sono state fatte delle radiografie e sono stati trovati degli elementi della geometria sacra, è circoscritta dal cerchio, figura geometrica che rappresenta la perfezione del cosmo, all’interno del cerchio è inscritto un triangolo che rappresenta la Trinità, alla base un quadrato che rappresenta i quattro punti cardinali. I piedi dei tre personaggi sono prospicienti verso l’esterno per comunicare che Dio, o meglio Cristo è tra gli uomini già dal Vecchio Testamento come forma di predestinazione. Le icone non fanno riferimento al Nuovo Testamento, ma al Vecchio, quindi ai Profeti e ne riattualizzano il messaggio.
Icrewplay.com Arte si occupa anche di Architettura, viaggi e Turismo. Dove possiamo trovare qua in Italia degli esempi di Icone?
Essenzialmente a Ravenna, è però un percorso arduo. A Santa Prassede e Santa Pudenziana a Roma trovate questi punti di incontro tra Oriente e Occidente, in particolar modo l’iconostasi, la percorrenza verso il cielo. Nei Castelli romani abbiamo l’Abbazia di San Nilo a Grottaferrata e a Genzano di Roma.
Tu sei anche un narratore. Hai pubblicato due romanzi brevi: “Udire nel Silenzio” edito dalla Sovera nel 2004, “L’uomo dalle parole di vetro”, vincitore del premio Ali penna d’autore. Quanto ha influito la tua preparazione figurativa sull’essere narratore?
Ha influito tantissimo. Io non riesco a scrivere se non ho una visione della realtà. Il mio sogno è sempre stato anche quello di scrivere la sceneggiatura di un film, perchè io vedo l’opera e poi la rappresento. Ma se io ad esempio vedo la Venere di Tiziano poi se io devo riportare per iscritto nel nostro linguaggio, estremamente spoglio, anche se ricchissimo, sarebbe impossibile trasmutare le emozioni che la Venere di Tiziano mi da’ quando la guardo.
Solo la poesia forse può abbinare la razionalità e l’emozione, ma non la narrativa che è confinata all’interno di regole grammaticali, ma l’opera d’arte non ha confine trabocca di un’emozione interiore. Le mie opere hanno sempre cercato di dare questa emozione, attraverso la fase che ritengo più vicina allo sfaldamento figurativo e alla metafisica di De Chirico, all’aspetto del surrealismo di Magritte, dei Post-surrealisti dove la realtà non è circoscritta, ma si sfalda e diventa emozione, diventa “transeunta”, come diceva una mia docente, come l’acquerello che si sfalda.dalle Nell’ “Uomo dalle parole di vetro” negli anni ho scoperto che affiancavo questo genere di visione metafisica per cercare di ritornare a un ordine che però era profondamente insito in me. L’arte metafisica è l’alter ego del mio scrivere dalla rottura iconografica fino al ritorno all’ordine successivo alle avanguardie storiche.
Sei stato anche critico teatrale. Come vedi il rapporto tra l’arte figurativa e il teatro?
Lo vedo come due facce di una stessa medaglia. Il teatro è una forma di arte in movimento. Mi resi conto di ciò quando al Teatro la Comunità vidi Favole di Oscar Wilde per la regia di Giancarlo Sepe che era riuscito a realizzare questa fusione perfetta di arte e teatro. Il pubblico era dentro il teatro su una piattaforma girevole ed era avvolto dagli attori come in una sorta di luci, ombre e figurazioni in cui la storia si narrava per immagini. La prosa era poca. L’arte è uno specchio del tempo, non si può concepire fuori dal tempo storico in cui si vive. In questo periodo non sta producendo granchè se non a livello tecnologico. L’attore invece è all’interno di una rappresentazione che in quel momento vince il tempo e lo spazio, solo che poi esce da quella condizione, mentre l’arte non conosce il punto di disgiuntura rispetto al teatro. Essa vince la caducità del tempo e dello spazio
Puoi darci qualche riferimento per i nostri lettori e anticipare qualche tuo progetto futuro?
Potete digitare su Google o Youtube Video di Raoul Bianchini. Questi video spaziano tra i vari periodi dell’arte. Li trovate anche sul mio profilo Facebook.
Su Alessandria post trovate dei link di un intervento che feci a Milano, su Viva voce on line rivista del circuito dei Castelli romani trovate degli interventi sulle icone, su Datanews un bimestrale del Mibac allora diretto da Mauro Ceci.
https://piercarlolava.blogspot.com/2016/04/raoul-bianchini-biografia.html
https://verseggiandosottogliastridimilano.wordpress.com/2016/09/page/2/
http://www.ascatania.beniculturali.it/getFile.php?id=724
A nome della redazione e dei nostri lettori ti ringraziamo per il prezioso contributo che ci hai dato a livello artistico arricchendo di senso questo neonato settore del nostro sito.
Grazie infinitamente ad Elisa Pellegrini e a quanti gestiscono questo meraviglioso sito che mi hanno dato la possibilità di divulgare queste splendide esperienze della mia vita.
Grazie Raul a nome di tutta la redazione di ICrewPlay Arte
Grazie a voi mi auguro di avere nuove forme di interazione con voi, la vostra collaboratrice Elisa Pellegrini ha inviato alla vostra redazione tramite un giro di mail il mio pdf sul romanzo L’uomo dalle parole di vetro. Attendo eventuale riscontro sulla sezione libri. Qualora vi sarebbe gradito un mio intervento. Grazie ancora.