Un uovo ritrovamento archeologico dunque, proveniente sempre da quell’inesauribile scrigno chiamato Egitto e di nuovo nella necropoli di Saqqara, a soli 30 km a sud de Il Cairo.
Gli archeologi del Museo Egizio, del Ministero delle Antichità Egiziane, del Museo Nazionale di Antichità di Leiden in Olanda, sotto la direzione del Museo Egizio nella persona di Christian Greco e della curatrice della Collezione Egiziana e Nubiana del Museo di Leiden, Lara Weiss, hanno di fatto individuato e portato alla luce, i resti della tomba di Panehsy, risalente ormai è certo, al primo periodo Ramesside, quindi intorno al 1250 a.C..
Ovviamente tale importante quanto inatteso rinvenimento ha, fin da subito, illuminato di nuova luce tutto ciò che ruota intorno al reale sviluppo della necropoli di Saqqara, nel periodo Ramesside.
La spedizione archeologica, nell’ambito dello stesso progetto, ha avuto inoltre modo di portare alla luce alcune cappelle funerarie ancora al vaglio del team, e in questo frangente forse un po’ offuscate dalla sensazionalità del ritrovamento relativo alla tomba di Panehsy, ossia del responsabile del tempio dedicato al dio Amon, al cospetto del quale, tutto sembra fare un riverente passo indietro.
A Saqqara la tomba di tremila anni fa torna alla luce
La tomba di Panehsy ha propriamente la forma di un tempio, con tanto di ingresso monumentale e una corte con portico colonnato al cui centro c’è un pozzo che a sua volta consente l’accesso alle camere sepolcrali ipogee. Sul lato ovest, a completamento del quadro, la corte è chiusa esattamente da tre cappelle.
L’intero complesso funerario ha forma rettangolare, com misure pari a 13,4 metri per 8,2 metri e lambisce, nel suo versante più a sud, proprio con la celebre tomba di Maya, simulacro dell’alto funzionario, responsabile del tesoro del faraone Tutankhamun.
Le mura in mattoni crudi della struttura superiore della tomba di Paneshy sono ancora perfettamente verticali e raggiungono l’altezza di un metro e mezzo e sono decorati da ortostati, lastre di rivestimento in pietra calcarea, che mostrano rilievi colorati in cui si distinguono agevolmente il proprietario della tomba Panehsy e sua moglie Baia, cantante di Amon, e diversi sacerdoti e portatori di offerte.
Il nome di Panehsy significa il Nubiano, ma questo riferimento non sembra essere un’indicazione delle sue origini o almeno non lo è fino a questo momento.
Con l’aggiunta “da Menfi”, Panehsy vuole sottolineare il suo legame con questa città, un importante centro amministrativo e religioso al tempo in cui visse Panehsy, che quindi potrebbe anche essere nato lì.
Il nome Panehsy inoltre era abbastanza comune a quel tempo, ma questo specifico responsabile del tempio che veniva da Menfi è sempre stato sconosciuto agli studiosi fino ad oggi, fino a questa sensazionale scoperta.
Tra le figure riemerse, la rappresentazione più bella di Panehsy è quella in cui è impegnato ad adorare la dea Hathor, rappresentata quest’ultima nella sua tipica iconografica di mucca che esce dalla montagna e al di sotto, lo stesso Panehsy e sua moglie Baia siedono insieme davanti ad una tavola.
Un uomo calvo con una pelle di leopardo che gli cinge le spalle si trova di fronte alla coppia deceduta. È il sacerdote che si occupa
del culto funerario deidefunti. Lui versa una libagione d’acqua.
Il testo in geroglifico identifica il sacerdote come Piay, lo scriba della tavola sacrificale e probabilmente il secondo di Panehsy.
E’ di fatto il titolo a suggerire che Piay fosse subordinato al proprietario della tomba Panehsy. Non era così insolito infatti che Piay si occupasse del culto della morte del suo superiore, anche se idealmente questo compito spettava al figlio maggiore del defunto ma questo aspetto crediamo sarà chiarito probabilmente in seguito e al momento si può forse al limite ipotizzare che Panehsy non avesse figli.
Ad est della tomba di Panehsy, gli archeologi italiani, egiziani e olandesi hanno scoperto quattro cappelle funerarie più piccole, una delle quali apparteneva a Yuyu, artigiano responsabile della produzione delle lamine d’oro presso il tesoro del faraone.
La cappella di Yuyu misura solo 1 metro per un metro e 15 cm. Molto
affascinanti le decorazioni e i dettagli della decorazione del muro. In questa cappella funeraria, quattro generazioni della famiglia di Yuyu erano rappresentate in splendidi rilievi colorati. Si vede il corteo funebre di Yuyu e il rituale dell’apertura della bocca, momento supremo del funerale, oltre alla venerazione della dea vacca hathorica e della barca del dio locale di Saqqara, Soqar.
Un altro ritrovamento degno di nota nell’area est della tomba di Panehsy è una cappella, ancora anonima, con una rara rappresentazione del proprietario della tomba e della sua famiglia, il cui stile artistico potrebbe ispirarsi alle statue vicino alla tomba di Maya e Merit ma quest’aspetto è ancora tutto da sviscerare.
Lo scavo a Saqqara, iniziò nel 1975, a cura dell’ Egypt Exploration Society e del Museo Nazionale delle Antichità di Leiden, finalizzato alla ricontestualizzazione archeologica di monumenti, rilievi e statue, giunti nelle collezioni europee nel XIX secolo ma è solo nel 2015, quando il Museo Egizio è diventato partner della missione, che c’è stato quell’impulso in più di cui forse c’era bisogno.
Gli studi moderni sull’archeologia, oggi mirano a ricostruire sistematicamente la biografia di questi oggetti, affinché si possa meglio comprendere la storia economica e sociale dell’antico Egitto come del resto mirarano a fare i primi grandi studiosi dell’Antico Egitto; un nome fra tutti Max Weber.
Il ritrovamento della cappella di Yuyu ne è l’esempio plastico, in questo gli stipiti di porta provenienti da questo monumento e conservati oggi al Musée de Picardie ad Amiens possono essere finalmente compresi e contestualizzati
ha dichiarato il Direttore del Museo Egizio, Christian Greco.
Saqqara è la necropoli della capitale dell’antico Egitto Menfi, che stando alla tradizione egizia fu fondata nel 3000 a.C. dal re Menes, il primo faraone dell’Egitto unito.
Un’avvincente scoperta dunque che ulteriormente allarga i confini nell’area di Saqqara che probabilmente saprà ancora restituire ai posteri meravigliosi angoli di Antico Egitto a cui dedicare sempre più raffinati approfondimenti di carattere antropologico, storico e sociale della splendida civiltà del Nilo.