La pandemia ha messo in essere una serie di dinamiche anche nell’ambito dell’istruzione e ha iniziato a muovere la “macchina” della scuola digitale, come un processo difficoltoso, ma assolutamente necessario.
Appena si è data la notizia che le scuole e le università sarebbero state chiuse oltre le vacanze di Carnevale, un’estrema confusione si è diffusa, come un’onda minacciosa, fra le fila degli insegnanti, dei genitori e fra gli studenti. Molti si chiedevano se sarebbe stato lungo il “lockdown” di tutte le attività. Nessuno avrebbe mai pensato che le scuole sarebbero state chiuse così a lungo.
La DAD ai tempi del coronavirus: la scuola si adatta
Nel momento in cui il personale scolastico ivi compresi gli insegnanti ha realizzato che i mesi di scuola digitale o di DAD (didattica a distanza) si sarebbero protratti, vi è stata una vera e propria corsa alla formazione per utilizzare le risorse disponibili.
Le chat erano infuocate. Tutti gli insegnanti erano presi nell’ascoltare le disposizioni ministeriali, ma per molto tempo, troppo oserei dire, la ministra dell’Istruzione Azzolina non si pronunciava. Anzi, il governo pareva essersene dimenticato. I bambini, i ragazzi e gli studenti di tutte le età non erano stati considerati minimamente.
Ora, dopo circa due mesi di quarantena di didattica digitale, ci si pongono diverse domande: come valutare? E’ giusto valutare? Le verifiche e i compiti come possono essere svolti dietro uno schermo?
La protesta della professoressa Cerioli
Una professoressa di Ravenna, Ilaria Cerioli, ha risposto ad una dichiarazione della ministra in cui affermava che le insufficienze vanno date comunque, soprattutto ai ragazzi svogliati che si defilano dietro un Pc oppure accampando le classiche scuse come “non ho una buona connessione”.
La professoressa nominata sopra si è mostrata assolutamente in disaccordo con la Azzolina, perché, dice, gli alunni stanno già vivendo una situazione anomala e difficilissima, perciò non comprende come si possa ancora parlare e discutere di scuola, in un momento in cui tutto si è azzerato. Non si va più a scuola in autobus la mattina presto, nessuna macchina accompagna nessun studente negli edifici scolastici, le strade sono sgombre, i ragazzi non si accalcano nell’intervallo per fare merenda e chiacchierare con l’amico, gli insegnanti non ci sono a sorvegliare nessuno e nemmeno si prodigano a correggere compiti cartacei oppure a porsi il dubbio se chiamare qualcuno dal posto o invitarlo alla cattedra.
Anch’io sono un’insegnante e ho sentito i ragazzi avviliti. Qualcuno mi ha ripetutamente chiesto quando saremo tornati a scuola. In quella voce, ho sentito proprio la paura e la costernazione. Ho nutrito la speranza che una adulto autorevole potesse dargli un appiglio, con il quale non arrendersi, ho capito che il mio ruolo doveva essere un punto di forza, nonostante la distanza.
Le emozioni che sentiamo attraverso i loro scritti e le loro voci ci permettono di essere vivi e ci motivano nel nostro ruolo di insegnanti, accrescendo le possibilità e le alternative, per poter fronteggiare una situazione così grave.
L’educazione come punizione?
In una realtà così ovattata e degna di un film di fantascienza, come si può fare scuola alla vecchia maniera? Tutto è cambiato e ogni quesito che ci si poneva relativamente alla valutazione non ha più nessun senso. La Cerioli giustamente dice che non si sente affatto soltanto un’insegnante, o per meglio dire una professionista che dispensa voti e giudizi, ma prima di tutto un essere umano che sta vicino, pur a distanza, ai suoi alunni e li supporta nella loro crescita.
Non c’è che dire. E’ una posizione condivisibile da me e da altri questa. L’importanza delle azioni educative sono fondamentali anche e specialmente in queste situazioni. Nessuno di noi ha mai vissuto tali circostanze e appunto per questo, deve cercare di trovare il meglio nel peggio. Uscire con certe dichiarazioni non fa bene all’educazione, che dev’essere formativa, non punitiva. Non dimentichiamo che le depressioni anche fra i giovanissimi sono un male sociale che non va incentivato da un rigido atteggiamento da parte del copro docente.
Nell’educazione c’è la formazione dell’individuo, che è basilare, di certo non solo la mera valutazione attraverso voti e numeri che non hanno nessun significato se non sono contestualizzati in una situazione di “normalità”. Tutto ciò che era corretto prima, potrebbe non esserlo più e l’atteggiamento di chi fa istruzione deve cambiare, senza dubbio.
Crediamo in una scuola che formi, che si autocritichi, che non si dia risposte immediate senza porsi le giuste domande. Per queste ragioni, mi unisco alla professoressa Cerioli, per la sua presa di posizione forte e chiara, perché tutto quello che è scuola dev’essere vagliata e pensata prima da chi la scuola la fa.
“Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”
Rabelais