Le Accademie di Belle Arti nascono nel Cinquecento in Italia: sono le scuole che formano gli artisti più importanti nel corso del tempo. La prima fu istituita già nel 1563 a Firenze da Giorgio Vasari. A seguire quella di Roma nel 1593 e la famosa Accademia di Milano, Brera, nel 1776, fondata addirittura da Maria Teresa D’Austria. Vantano secoli di storia, preparazioni eccellenti in ambito artistico, musicale e coreutico. Eppure, sono considerate le sorelle povere delle università, tanto è vero che i titoli spesso conseguiti con grande dispendio di energie, di lavoro e di tempo, dagli studenti, non sono equiparabili alle lauree universitarie e inoltre non vengono nemmeno considerati per un impiego. Gli spazi e le sedi sono spesso trascurati e non ci sono mai fondi per renderle più moderni e confortevoli. Inoltre, circa il 50% degli insegnanti sono precari, hanno contratti co.co. Spesso, per questi ragionevoli motivi, sono state portate avanti proteste, manifestazioni e flash mob da Torino a Palermo. Gli studenti di Urbino, poi, hanno aperto un sito – parodia che esorta a inviare biglietti d’auguri al ministro dell’Istruzione, con un chiaro intento canzonatorio. Mancano anche le leggi che rendano veramente i diplomi conseguiti nelle Accademie delle vere e proprie lauree. E’ ovvio che questo porta gli studenti e i datori di lavoro a considerare questi diplomi di serie B. Tali percorsi di studio vengono considerati velleità di pochi o soltanto frutto di una passione che non si trasformerà di certo in un “lavoro serio”.
Un’opinione autorevole
Salvo Bitonti, a capo per sei anni dell’Accademia di Torino, dichiara che le radici di questa “vexata quaestio” ha origine nella riforma gentiliana che privilegiava l’aspetto teorico dell’insegnamento più di quello pratico. Mancano i fondi e gli aspetti burocratici non danno il giusto riconoscimento ai docenti e di conseguenza agli studenti, afferma. Del resto, c’è poco da aggiungere a questo dato: l’italia destina all’istruzione solo 4,1% del Pil!
Che cosa serve studiare arte? La domanda è sempre questa
La famosa domanda che viene posta ai diplomati e laureati in materie artistiche, ma anche in quelle umanistiche sull’utilità di studiare tali discipline è un ritornello a cui spesso ci si abitua tristemente e che conduce ad elaborare delle risposte plausibili: inanzitutto, non si comprende proprio perché tutto ciò che si fa debba avere come fine ultimo l’utile. Già si presuppone quindi che la finalità di una laurea o di un percorso di studio è solo l’utilità. Che cosa s’intenda per utilità, non è dato sapere, perché spesso chi formula la domanda non conosce nemmeno il motivo della propria curiosità. L’utilità o meno di un percorso di studi è dato dalla spendibilità nel mondo del lavoro, questo è ovvio. Tuttavia, chi conosce molto bene la storia dell’arte e sa interpretare il messaggio di un dipinto, nonchè di una fotografia o di qualsiasi altra espressione artistica, sa che cosa s’intende per comunicazione non verbale, che è la materia su cui si basa gran parte della formazione aziendale oggi! Oggi, infatti, molte aziende investono sulla formazione di manchevoli tecnici, esperti di programmazione o di tecnologia, che necessitano appunto di colmare lacune evidenti in comunicazione linguistica e non solo. Non mancano corsi per imparare l’empatia, l’arte di scrivere per vendere, l’interpretazione di messaggi pubblicitari o tutto ciò che invece viene svilito inesorabilmente, da anni, nelle nostre scuole. C’è chi ancora chiede che cosa serva studiare arte, ma anche italiano, storia, filosofia, senza considerare che sono la base della cultura che tutti dovremmo avere. E la musica? Il canto? Appannaggio di pochi. Il teatro? Non serve, mica vorrai fare l’attore!
La rivoluzione di nuove scuole basate sull’arte
Eppure, sono nate scuole private che elargiscono corsi di artiterapie, riconosciute dal Miur (Artedo per esempio), che dimostrano quanto in realtà l’essere umano abbia bisogno di trovare una via di salvezza attraverso l’arte, abbia bisogno di trovare una risposta ai propri problemi esistenziali, psicologici, in una parola “umani”. Sono importantissimi i corsi di teatro nelle scuole e fuori da scuola per studenti e adulti, perché il teatro scava nelle emozioni della persona e le rende più palpabili, più evidenti: in tal modo, l’individuo si rende consapevole di se stesso e degli altri. L’arte pittorica e l’approccio ai colori e al loro studio è la base anche di alcuni percorsi di coaching (Alight coaching per esempio) che aiutano la persona a vivere una vita più serena, proiettata a costruire per sè e per gli altri un futuro più felice. Non è certo cosa da poco e le aziende che investono in questo hanno risultati maggiori, non a caso.
Concludendo…
Lo studio delle arti non può e non deve essere di serie B: basti pensare poi alla massa di turisti che vengono nelle città italiane per ammirare opere dal valore incommensurabile. Servirebbe una vera e propria presa di coscienza su questo dato, perché allora l’utilità c’è, eccome! E se anche l’utilità non fosse così evidente, abituare al bello, al senso dell’estetica e alla comprensione di un messaggio artistico è essenziale per la vita di una persona completa dal punto di vista umano e oggi, con tutto ciò che imperversa nel mondo, non è assolutamente inutile.
Sono completamente d’accordo . Il mondo ha bisogno di bellezza e l’arte è bellezza e vedere più a fondo le cose .
Dovrebbe essere una domanda superflua se rivolta ad un italiano.
L’italiano vive nell’arte la respira e sente la necessità di conoscerla sempre di più.
Non avevo idea che fosse sottostimata e spero che non risponda alla realtà.
L’ arte è tutto uno con la umano. Quando l’ uomo divenne uomo prendendo consapevolezza di sé iniziò a rappresentarsi con le pitture rupestri.