Ciò che noi oggi chiamiamo “Arte Moderna”, è ragionevolmente riconducibile al concetto di “esigenza”. A pensarci, si tratta di quell’urgenza espressiva che mira ad “evitare l’ovvio” e ricercare strade alternative.
Cercare diverse strade, porterà a diversi risultati, magari innovazione.
Non vi pare un pensiero tremendamente attuale?
Eppure affonda le sue radici già in tardo cinquecento, quando un ribelle manierista veneziano, figlio di un tintore di stoffe, viene riconosciuto uno dei maestri manieristi della sua epoca.
Jacopo, che come figlio di un tintore si era guadagnato l’appellativo di “Tintoretto”, fin da piccolo aveva sperimentato i colori per tessuto del negozio di famiglia. Riconosciuto il suo talento, fu mandato alla scuola di Tiziano, che in poco tempo – si racconta – lo caccia per la sua eccessiva bravura.
Tintoretto era divenuto “manierista”, ma il suo desiderio di innovazione lo portò ad ottenere, a soli 23 anni, incarichi importanti come quello che lo impegnò nella realizzazione delle 16 tavole “Metamorfosi di Ovidio”, sua prima impresa decorativa. Da subito, si percepisce la sua voglia di trovare un punto di vista “alternativo” lavorando con prospettive inusuali e strane profondità. L’urgenza e la ricerca di ottenere effetti che evadono dalla “bellezza convenzionale” per reinventarla. In un contesto e in una forma tutti nuovi.
Se vuoi scoprire qualcosa di più sulla vita di questo maestro ti consigliamo la visione del docu-film targato Sky Arte – voce guida Stefano Accorsi – che vi guiderà lungo la vita e le opere del pittore.
Le ultime opere dipinte sono gli “Ebrei nel deserto e la caduta della manna, l’Ultima Cena e la Deposizione nel sepolcro (1592 – 1594)”, il pittore muore a settantacinque anni.
“Alla maniera di Tiziano”, ma ribelle
Per quanto Tiziano fosse un pittore “della bellezza”, Tintoretto deve aver percepito che i suoi dipinti fossero più “piacenti” che “commoventi”, forse quella rappresentazione colorata e pura della bellezza cui era abituata Venezia, di lì in avanti, non sarebbe stata più sufficiente ad emozionare, a coinvolgere.
E’ con questo pensiero e per la sua ribellione che Tintoretto riesce a produrre un lavoro capace di portare il “brivido”, quello che cercava nelle intensità della scena, nella drammaticità degli eventi dipinti. Un esempio importante di questa ricerca innovativa che coinvolge l’utilizzo diverso della luce e delle ombre, che rende l’atmosfera irreale con toni “spezzati” e prospettiva “non convenzionale” raffigura la lotta di San Giorgio e il Drago, dove la principessa sembra correre fuori dal quadro e l’Eroe, a sinistra e lontano dai riflettori, non pare godere di attenzione esclusiva. La scena, complessivamente, è oggi considerata quella in cui Tintoretto raggiunge l’apice della ricerca espressiva.
Ma allora cosa significa “alla maniera di Tiziano”?
A coniare il termine “Manierismo” fu l’architetto Giorgio Vasari, (1550) che riteneva impossibile superare la bellezza già ottenuta da Michelangelo e Raffaello e che quindi, tutti gli artisti prossimi a loro, sarebbero stati “copie”, “alla maniera di..”
Nel 500, la tecnica pittorica raggiunge dei livelli così alti, che Tintoretto sente una vera e propria spinta, alla ricerca di differenze utili al suo scopo. Sperimenta con la vocazione di un diverso utilizzo della luce agendo anche sui particolari. Abbandonò la finitura liscia e lucida, fino a quel momento caratteristica della pittura “perfetta”. Nessuno, nel 500 sviluppò mai i suoi metodi di ricerca e, come accadrà da questo momento in poi, l’innovazione artistica conquisterà collezioni di critiche e incomprensioni.
C’è di buono che la storia insegna: gli artisti “intrattabili” e ribelli come Tintoretto, hanno osato evadere le regole per “esigenza” ma hanno innescato quell’idea ”moderna” di evasione espressiva, che oggi nel contemporaneo, conosciamo fin troppo bene.
Un concetto di “modernità” che si rende ripetuto nel tempo e quindi “eterno”.