Sabato 23 marzo 2024 alle ore 18.00, la Basile Contemporary ha inaugurato la grande mostra collettiva Trialogo che vede protagoniste le opere di tre illustri artisti del panorama dell’arte contemporanea italiana: Matteo Basilé, Danilo Bucchi e Paolo Grassino.
La mostra è ideata da Rosa Basile della Basile Contemporary, in collaborazione con Giuliano Rocca (art dealer) e curata da Gianluca Marziani, presenterà 10 opere dei tre artisti che dialogheranno tra loro in galleria.
La mostra nasce dall’idea di mettere in comunicazione tre medium diversi – fotografia, scultura e pittura– e tre stili diversi. I tre artisti provengono da un background comune, quello delle avanguardie italiane degli anni novanta e dell’avvento della digital art, nonostante abbiano preso strade comunicative diverse. Marziani parla così dell’idea originaria: “Trialogo è parola che contiene l’ampliamento del dialogo prima della polifonia orchestrale, incarnando quel passaggio stereofonico dei contenuti che avviene sull’asse limpido di una triangolazione dialettica. Trialogo come risultato di una compenetrazione luminescente tra valori teorici del segno figurativo, seguendo le evidenze di tre artisti italiani che appartengono ad una stessa curvatura generazionale.”
I tre artisti protagonisti di Trialogo
Matteo Basilè (1974) parte dalla fotografia e dalla Computer Art, per intrecciarle indissolubilmente come per il sacro e profano. La sua ricerca varia in tutte le direzioni del visivo e del globo, si evolve come un’interfaccia tra Oriente e Occidente (l’artista ha vissuto quasi 8 anni nel sud est asiatico), in una dialettica che opera come una collisione situata tra tradizione e modernità.
Danilo Bucchi (Roma, 1978) radica il suo linguaggio in un universo di segni che rimanda alla tradizione dell’astrazione europea con l’utilizzo di tecniche e supporti fortemente tecnologici. Il suo lavoro parte dal disegno scavando dentro i sentimenti autobiografici e sviluppando uno stile che oscilla tra astrazione e figurazione. Ogni movimento del corpo si riflette nevrotico e perpetuo come un’improvvisazione musicale di un jazzista degli anni 50.
Paolo Grassino (Torino, 1967) parte dalla scultura, lavorando con materiali come la gomma sintetica, il legno, il polistirolo, e la cera, ma anche con tecniche come le fusioni in alluminio o calchi di cemento. Con i suoi lavori si interroga sulle derive della società moderna, sospesa tra naturale e artificiale, tra precarietà e mutazione. Cani, cervi ma anche sedie: le sue creazioni trasformano gli spazi vuoti in una parte definitiva della scultura.
Ciò che accumuna davvero questi tre artistici è una spazialità altra delle loro opere. Tutti e tre lavorano i classici materiali che formano il loro lavoro, aggiungendo alla terra del loro medium una ricollocazione spaziale materica: Basilé taglia, sposta, ricolloca la carta fotografica che fonde o si sottrae allo spazio del visivo; Bucchi erge la materia dei suoi dipinti fuori dalla tela come una glassa sulla superficie dolciaria; Grassino unisce il pathos delle sue sculture agli spazi in cui le risemanticizza.
Come dice Gianluca Marziani: “Ognuno di loro fa risuonare un linguaggio primario, una matrice d’ingaggio che nel processo formale ha portato l’artista a frammentare, ripensare, ibridare e ricomporre l’archetipo per poi nuovamente sfaldare, cicatrizzare, atomizzare i risultati, creando così la struttura semantica del proprio arcano estetico.”