L’arte non è solo rappresentazione del bello, l’arte si è sempre esposta per contenuti molto importanti come il tema della violenza sulle donne nell’arte. Molti artisti si sono avvalsi dell’arte per farne un mezzo di denuncia attraverso la realizzazione di quelli che sono stati poi considerati capolavori dell’arte ma che in realtà celano atti di violenza, dove per atti di violenza non si vuole solo sottolineare la violenza fisica sulle donne, ma viene considerata violenza sulle donne qualsiasi atto che sottolinei in maniera evidente una disparità di genere come forma di disuguaglianza che mira a colpire la donna fisicamente, mentalmente e nell’anima.
Non a caso nell’articolo 1 e 2 dell’Onu per il riconoscimento della “necessità urgente per l’applicazione universale alle donne dei diritti e dei principi in materia di uguaglianza, la sicurezza, la libertà, l’integrità e la dignità di tutti gli esseri umani“, citano:
Art.1: ” l’espressione “violenza sulle donne” significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà che avvenga nella vita pubblica o privata..”
Art.2: “La violenza contro le donne dovrà comprendere, ma non limitarsi a, quanto segue:
a) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia, l’abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza legata alla dote, lo stupro da parte del marito, le mutilazioni genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non maritale e la violenza legata allo sfruttamento; b) La violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene all’interno della comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l’abuso sessuale, la molestia sessuale e l’intimidazione sul posto di lavoro, negli istituti educativi e altrove, il traffico delle donne e la prostituzione forzata; c) La violenza fisica, sessuale e psicologica perpetrata o condotta dallo Stato, ovunque essa accada.
Per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne che viene commemorata il 25 Novembre di ogni anno dal 1981, anche l’arte vuole dare un contributo ricordando la lotta degli artisti famosi che hanno denunciato tali atrocità attraverso le loro opere d’arte.
La violenza sulle donne nell’arte
Il Ratto delle Sabine come violenza di massa
L’arte è portatrice di tematiche importanti da sempre. Viene raccontata spesso la violenza sulle donne nell’arte e partendo dal Ratto delle Sabine si può capire come la donna veniva già considerata essere inferiore e figura legata solamente alla procreazione e soddisfazione dei piaceri sessuali maschili già dall’antichità.
Il celebre Ratto delle Sabine compiuto da Romolo poco dopo la fondazione di Roma avvenuta nel 753 a.C., è stata una delle scene più rappresentate dai vari artisti che si sono succeduti nei secoli, che tratta al meglio il tema delle violenza sulle donne nell’arte.
Vari artisti come Pietro da Cortona, Nicola Poussin e Jacques Luois David hanno rappresentato la violenza sulle donne nell’arte con i loro dipinti come atto di denuncia, ma l’opera scultorea conosciuta da tutti è proprio quella del Giambologna.
Si parla di violenza sessuale di massa. Il “ratto” è un termine che sta a sottolineare appunto sia il “rapimento” che lo “stupro”. Al rifiuto da parte dei Sabini di creare un mescolamento tra i due popoli per ingrandire il proprio impero attraverso la conquista dei territori e la procreazione di nuove generazioni, fu programmato da Romolo il famigertao “ratto”, una conquista forzata e una dominazione violenta dei Sabini rivendicata sulle donne.
Romolo organizzò una grande festa di giochi e invitò tutte le popolazioni vicine a parteciparvi, tra i quali i Sabini. L’obbiettivo era di appropiarsi delle loro donne in maniera violenta e con la forza durante questa festa, infatti, alla Consualia arrivarono moltissime sabine vergini e anche consorti con figli, desiderose di vedere la nuova città appena fondata.
L’atto di violenza fu disastroso, al comando di Romolo i romani rubano le figlie ai loro padri contro la loro volontà e le tennero loro prigioniere anche se libere, prigioniere in senso figurato in quanto le Sabine divennero oggetti di loro possesso, procreando contro la propria volontà, ma la forza delle donne prevale sempre su questi atti di violenza.
Nel secondo incontro tra i Sabini che vollero rivendicare le loro figlie e quello dei romani ormai diventati forzatamente loro generi, avvenne una scena imprevedibile, le Sabine con i loro figlioletti si lanciarono in mezzo alle due fazioni facendo terminare la lotta, “sembravano possedute da un dio che diede loro la forza di opporsi alla guerra” disse Plutarco, acquisirono forza e coraggio nonostante furono “sfruttate” contro la loro volontà.
Vollero porre fine alla guerra accettando la loro condizione per evitare altri spargimenti di sangue e perdite dei loro cari padri o dei loro ormai mariti forzati.
Il Ratto di Proserpina del Bernini come violenza domestica
Continuando con questa famosa parola ambigua, un’altra opera come denuncia della violenza sulle donne nell’arte e che rappresenta il “ratto” come “rapimento” e “possesso” è un’opera scultorea di Gian Lorenzo Bernini: “Il ratto di Proserpina”.
Rappresentato anch’esso da vari artisti famosi, uno dei quali Serafini nel Codex Seraphinianus, il ratto di Proserpina è anch’essa una denuncia per la violenza sulle donne nell’arte perchè rappresenta, possiamo definirla una violenza domestica in quanto il rapimento della bella Proserpina fu fatto per mano dello zio Plutone o Ade, dio degli inferi, che innamoratosi della bella Proserpina la rapì, sapendo di non poter avere il consenso della sorella. Iniziò così la colluttazione tra Plutone e Proserpina rappresentanta dal Bernini.
Con queste parole viene descritta con minuzia particolare la fragilità, la vergogna, la paura, la disperazione di Proserpina e la bramosia della carne e possessione dello zio:
“Proserpina lotta inutilmente per sottrarsi alla furia erotica di Plutone spingendo la mano sinistra sul volto del dio, il quale, invece, la trattiene con forza, affondando letteralmente le sue dita nella coscia e nel fianco della donna. Con questo dettaglio, attraverso cui Bernini ha reso con notevole verosimiglianza la morbidezza della carne di Proserpina, lo scultore ha dimostrato il suo stupefacente virtuosismo”
Il potente dio dell’Oltretomba sta guardando la fanciulla avidamente, con una bramosia suggerita dalle linee d’ombra e dalle puntine bianche presenti nei suoi occhi, profondamente scavati dall’artista; la visione della fanciulla, tuttavia, gli è impedita perché ella sta premendo con la mano sopra il suo sopracciglio sinistro.
Proserpina, invece, è colta nell’attimo in cui sta gridando un’invocazione disperata alla madre Cerere e alle compagne. I suoi occhi, tumidi di commoventi lacrime di marmo per la perdita dei fiori, rivelano un Susanna e i Vecchioni di Artemisia Gentileschi come violenza carnale subita da conoscenti
Artemisia entrata nel mondo dell’arte da giovanissima, venne affidata nelle mani dell’artista Tassi, nonchè amico del padre, che approfittò di Artemisia in assenza del padre in casa Gentileschi spalleggiato dai vicini del posto. Questo segnò tutto il percorso artistico di Artemisia che attraverso l’arte trovò la forza di denunciare.
Di quel giorno Artemisia cita con tutta la sua rabbia queste parole forti che descrivono quella scena cruente:
«Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro.
E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne»
La violenza però non finì qui perchè Tassi per estinguere il reato di violenza carnale promise di sposarla, così Artemisia dovette accettare continuando ad intrattenere rapporti con il Tassi sperando in un matrimonio che mai avverrà, perchè Artemisia scoprì che il Tassi era impossibilitato al matrimonio essendo già coniugato. Questo fece scaturire l’indignazione del padre e partì il vero processo al Tassi dove Artemisia fu nuovamente mortificata come donna, privata della sua libertà e nudità, il suo corpo venne analizzato da visite umilianti ginecologiche anche davanti alla folla. Il Tassi fu accusato di “sverginamento”.
In Susanna e i Vecchioni, Artemisia rappresenta una scena dell’Antico Testamento dove lei stessa si identifica. La donna viene sottoposta a ricatto sessuale da parte di due anziani signori, amici del marito che la infastidiscono mentre Susanna fa tranquillamente il bagno, ricattandola ad approcci intimi per soddisfare i “loro appetiti” pena la falsa accusa di tradimento che avrebbe saputo il marito dai suoi amici. Innescando paura e terrore nella donna, Susanna resta in silenzio mentre approfittano di lei.
Le Viol, “lo Stupro” di Degas come violenza di genere
Un altro quadro che interpreta la violenza sulle donne nell’arte è stato macabramente preso in considerazione da Degas ne LeViol, lo Stupro, titolo forte come forte è la rappresentazione della scena, con luci in penombra e l’uso di tonalità scure e tristi.
Nella scena risalta all’occhio il silenzio soffocante che vaga nella stanza, un atto di violenza che si è consumato in quel posto con la consapevolezza dell’aggressore che guarda fiero ed impassibile il corpo della donna oltraggiato, messo in risalto dalla spallina del vestito strappata. La donna anch’essa consapevole di ciò che è appena avvenuto accetta silenziosamente il suo dolore sapendo di non aver via di fuga, silenziosa si allontana dall’aggressore e dal letto dove si è appena consumato lo strupro.
Le Viol di Renè Magritte come violazione della libertà femminile
Un omonimo è Le Viol di Renè Magritte, una rappresentazione molto cruenta dove il volto della donna viene cancellato e al suo posto viene rappresentato il corpo femminile.
La denuncia della violenza sulle donne nell’arte in questo caso viene vista come privazione dell’identità femminile, violazione della libertà, privazione di espressione e sentimento. Molto originale perchè guardando attentamente l’opera Magritte nei seni della donna ci vede gli occhi dell’uomo e lo sguardo che l’uomo pone nei confronti di una donna, non interessandosi prima alle qualità ma direttamente al corpo. La donna dalla maggior parte degli uomini viene vista come un corpo nudo.
Ovviamente vedendo tutte queste rappresentazioni e conoscendone la storia si rischia di generare un pensiero negativo nei confronti del genere maschile, sappiamo che il femminismo è nato per la rivendicazione dei diritti delle donne e la parità di genere non per sopraffare l’uomo. Non possiamo fare di “tutta l’erba un fascio”, ed è per questo che sicuramente molti uomini che hanno a cuore il tema sensibile, staranno leggendo questo articolo.
Elina Chauvet e le scarpette rosse come testimoninza della violenza e del lungo cammino delle donne
Conosciamo tutti e le abbiamo sicuramente viste per i negozi, le città varie installazioni delle scarpette rosse. Bene questa è stata un’ iniziativa dell’artista messicana Elina Chauvet, come atto di denuncia della violenza sulle donne nell’arte, diventata famosa proprio per l’installazione delle “scarpette rosse”, le tante diverse scarpe di colore rosso che rappresentano il lungo cammino verso la parità di genere, verso i diritti delle donne. Perchè rosse? Rosse perchè rappresentano la violenza, il sangue, l’uccisione, il dolore, la disperazione della violenza.
“Le donne di oggi studiano, lavorano, non vogliono più stare solo in casa a badare ai figli e questo credo che generi reazioni violente in alcuni uomini. E’ un momento molto difficile”.
“Io ho cominciato con trentatré scarpe, oggi sono oltre 300 le installazioni in tutto il mondo“.
“Voglio recuperare quell’idea di fiducia nell’essere umano, come quando la sposa si apre con slancio a una nuova vita”
Pu-pi-lla di Raoul Gilioli come segregazione della donna
Un’ installazione molto importante come denuncia della violenza sulle donne nell’arte che riscosse successo nel 2014, “Pu-pi-lla, through the looking glass”, dell’artista Gilioli che apparve nella città di Torino.
Pu-pi-lla si presenta come un grosso monolite nero che si illumina grazie ad un sensore alla vicinanza della gente.
Nel suo illuminarsi il monolite diventa trasparente ed appare una donna nuda, intrappolata, segregata, resa prigioniera, privata di ogni libertà. E’ li che si lascia guardare nella sua nudità, ma lei non vede la luce, dall’interno del monolite la superficie è riflettente, la donna è sola, non può interagire con il pubblico, non può chiedere aiuto perchè è intrappolata in una scura gabbia e nel riflesso del suo corpo violentato. Il monolite che si illumina all’avvicinarsi della gente rappresenta la luce che si accende al clamore istantaneo dei media che accendono i riflettori sui drammi avvenuti.
“Il nero del cristallo è associato al colore del velo imposto alle donne da numerose tradizioni, spesso come condizione punitiva o di annullamento, privazione. Il velo protegge ma al tempo stesso imprigiona, controlla”
“..è la bara di Biancaneve dei fratelli Grimm e del diffuso immaginario stereotipato. Narciso innamorato della sua immagine sceglie di specchiarsi nello stagno, Alice di attraversare lo specchio, per Socrate la pupilla ci dà la possibilità di scelta, riflettercisi o andare oltre scrutando l’anima. Catarsi di un dramma.”
Barbara Kruger e il femminismo
Uno dei manifesti per la violenza sulle donne nell’arte è proprio l’opera di Barbara Kruger. Artista statunitense che prese molto a cuore la vicenda del femminicidio e della violenza di genere e negli anni in cui stava progredendo il femminismo la Kruger parlò attraverso le sue opere appoggiando la causa.
Le sue opere sono veri e proprio manifesti, fatti con stampe di raffigurazioni per lo più di donne in bianco e nero e accompagnate da delle scritte molto importanti e dirette con sfondo rosso per farle risaltare, che l’artista pone come manifesto della violenza sulle donne nell’arte.
La più famosa è Your body is a battleground, Il tuo corpo è un campo di battaglia realizzata per il movimento femminista per mobilitare le donne americane dai tabù sessuali e formentare una rivoluzione. Attaccò questi manifesti in tutta la città alle due di notte.
Altra opera degna di importanza è We have received orders not to move, Abbiamo ricevuto l’ordine di non muoverci.
Non si poteva che citare le opere della Kruger come ultime per denunciare la violenza sulle donne nell’arte, proprio perchè non rappresenta un fatto accaduto ma dà forza a tutte le donne che subiscono e hanno subito violenza di avere coraggio ed iniziare una lotta contro l’aggressore facendosi forza e denunciandolo e di non subire sottostando ai comandi.
La violenza di genere è sempre esistita. Non si capisce come l’importanza della donna abbia subito una regressione, in quanto la donna in antichità era considerata la procreatrice della vita, la madre terra, esisteva, infatti, il culto della dea Madre e nella civiltà egizia addirittura la donna aveva una sua indipendenza, sacerdotessa e attiva socialmente e politicamente. Col passare dei secoli però iniziò ad essere vista solo come un corpo di proprietà e l’intelligenza, la creatività, la libertà di pensiero furono occultate. Grazie al femminismo e a tutte le battaglie, le donne hanno trovato la forza di rivendicare ciò che a loro era stato rubato: la libertà.