Zehra Dogan, artista curda, ha inaugurato il 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, presso il PAC, Padiglione dell’arte contemporanea di Milano, un progetto in tre atti. L’evento si inserisce nella rassegna milanese dal titolo I talenti delle donne, indetto dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano. Scopo dell’iniziativa è di far conoscere l’importanza delle donne nella storia, al fine di promuovere in modo concreto i principi di uguaglianza e pari opportunità.
Sul sito del PAC sarà visibile la performance realizzata il 23 novembre 2019 da Zehra Dogan e promossa da Fondazione Brescia Musei. Nel video l’artista curda realizza un ritratto di un’attivista siriana, Hevrin Khalaf, segretaria generale del Partito del futuro siriano che fu uccisa il 12 ottobre 2019 dalle milizie arabe che appoggiavano i turchi.
Il progetto a cura di Elettra Stambolius e in collaborazione con la Fondazione Brescia Musei, prevede anche una Project Room al PAC dal 18 dicembre al 14 febbraio con una nuova performance di Zehra Dogan.
Per ulteriori informazioni andate sul sito del PAC.
Zehra Dogan: l’arte che nasce nonostante le sbarre e la violenza
Zehra Dogan è certamente una personalità poliedrica nell’arte contemporanea. E’ una giornalista, un’artista visiva, un’attivista e ha inoltre fondato JINHA un’agenzia di stampa al femminile che purtroppo è stata chiusa dal governo turco nel 2016.
Fu arrestata e condannata a 2 anni e 9 mesi di reclusione il 23 febbraio 2017, per alcuni suoi articoli e un dipinto dedicato al conflitto di Nusaybin e con l’accusa di propaganda terroristica a favore del PKK. Ma è proprio dentro una gabbia che il pensiero della libertà diventa forte, fino a sprigionare e mettere in campo tutte le risorse creative. Così Zehra Dogan non smette di creare e non mette freni alla sua libertà.
“Il dipinto Nusaybin, per la quale sono stata accusata e incarcerata è stato realizzato in una città in rovina: non all’esterno, non da lontano, ma proprio da dentro, tra le rovine della guerra, con una penna su un cellulare.”
Zehra Dogan ha cominciato infatti a praticare arte sin da bambina, perchè era lo strumento attraverso il quale poteva praticare liberamente la lingua e la cultura curda, vietate dallo Stato, come afferma in un’intervista che ha rilasciato a “Exibart”:
«Ho trovato questa forza nella mia fede. La mia fede sia nella lunga lotta, condotta dalle donne che la lotta storica del mio popolo per la liberazione della nostra terra occupata. Fin da quando ero bambina, sono stata coinvolta in una lotta per l’identità. A soli undici anni prendevo già lezioni d’arte all’interno del Centro di Cultura e Arti Curde. A quel tempo, questi luoghi erano gli unici che tenevano in vita la cultura curda ma erano vietati e sotto la pressione dello Stato. È lì che abbiamo praticato l’arte curda, vietata, con la nostra lingua madre, vietata, con strumenti, vietati. Ho imparato là che l’arte deve essere fatta persistentemente e di continuo.” In prigione non mi sono aggrappata alle circostanze, e non ho cercato di trarne altro potere, avevo già quella fede e quella forza a cui mi aggrappavo fin da quando ero bambina».
In carcere realizza opere con oggetti di recupero: avanzi alimentari, fondi di caffè, e usando come supporti il telo da bagno carcerario, la carta stagnola della sigaretta, le poche lettere autorizzate, sangue mestruale, escrementi di uccelli. Questi lavori avevano la funzione di comunicare con un gruppo di attivisti in Francia.
“Scorte di cibo, sangue mestruale, pitture con escrementi di uccelli, piume e capelli, spazzole, lenzuola, prospetti, asciugamani, giornali, biancheria intima, camicie sono diventati i miei materiali, i miei colorı, le mie tele.Naturalmente era molto difficile creare e proteggere le mie opere: le confiscavano continuamente.Ma sono riuscita a trovare un modo per mandarle fuorı dal prigione di nascosto.Alcune sono state scoperte dalle guardie del carcere e quasi 30 miei dipinti sono stati bruciati da loro dopo la scoperta. Allora ho cercato e trovato nuovi modi, una forma performativa di protesta, durante la quale mi sono detta «No, perché lo sto facendo? Non devo arrendermi solo perché mi hanno confiscato i miei lavori, devo trovare il modo per renderlo segreto in modo più professionale!».
Ho iniziato a dipingere sul corpo dei miei amici di prigione che poi venivano liberati. Una volta fuori, loro si fotografavano il dipinto che avevo realizzato sulle loro spalle e poi archiviavano le foto, che ora io possiedo. E così sono riuscita a far uscire una dopo l’altra più di 300 opere in un modo che le guardie non potevano mai immaginare».
Queste opere realizzate nelle carceri turche sono state esposte in Italia presso la Fondazione Brescia Musei, in occasione della prima personale dell’artista e al Prometeo Gallery con la mostra Beyond.
Il mondo dell’arte si è mobilitato per quest’artista che non solo rappresenta la libertà di tutte le donne del mondo, ma il sogno del Kurdistan come Stato indipendente. Tra questi l’artista cinese Ai Wei- Wei e Banksy che le ha dedicato il murale Free Zehra Doğan a New York.
Il 24 febbraio 2019 venne liberata e da marzo 2019 è residente da esule a Londra.
Zehra Dogan: progetto PAC
l progetto al PAC, Il tempo delle farfalle. Dedicato a Patria, Minerva, Teresa Mirabal è un omaggio a Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal, le tre sorelle che combatterono la dittatura (1930-1961) del dominicano Rafael Leónidas Trujillo con il nome di Las Mariposas (Le farfalle).
Il 25 novembre 1960 le tre sorelle andarono far visita ai loro mariti, incarcerati per aver preso parte alla resistenza anti-trujillista, ma nel corso di un’imboscata vennero arrestate, torturate e uccise dai servizi segreti militari. Il 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale dell’Onu dichiara il 25 novembre 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Zehra Dogan le donne e la questione curda
Zehra Dogan afferma che un artista che nasce curdo ed è condannato solo per l’appartenenza alla sua cultura non può pensare di produrre arte senza tenere in considerazione la questione politica. L’arte è infatti uno strumento potente per rendere nota la causa dei Curdi, che viene trattata dai media in maniera superficiale.
Negli anni tra il 2015 e il 2016 ci sono state delle dure battaglie in Kurdistan:
“Tra il 2015 e il 2016 c’è stata una grande battaglia nella geografia del Kurdistan in Turchia, lo stato turco ha ucciso centinaia di persone, tra loro dozzine di bambini. Le città sono state bombardate. Molti quartieri sono ora cancellati dalla mappa. Ma i media occidentali non hanno dato abbastanza attenzione a quella situazione trattandola come un ordinaria notizia quotidiana. Ancora oggi nella zona curda ad ovest della Turchia, i curdi vengono uccisi da attacchi razzisti. Questo non è una questione di colore della pelle, di essere nero. Il nero è il colore del destino degli oppressi.In Turchia ogni mese un bambino viene ucciso da un attacco razzista solo perché è curdo, ma i media occidentali trattano questa tragedia in un modo superficiale. Ma che giornalismo è questo? Il giornalista non deve lasciarsi influenzare dalla percezione generale, ma deve guardare, analizzare e raccontare ciò che il pubblico non riesca a vedere. “
«Lavoro molto sul corpo nella mia arte. Preferisco restituire la mia espressione attraverso il corpo. Questo è il motivo per cui sto elaborando il mio discorso sulla lotta delle donne curde di cui faccio parte, attraverso le figure femminili. Non possiamo separare la situazione in Kurdistan dalle politiche sul corpo femminile. Per migliaia di anni, la politica di guerra, della mentalità maschile è stata portata avanti sul corpo femminile. Sto esprimendo il problema con il metodo di “Margine contro il Testo”,