L’arte si sa è uno dei settori più penalizzati da questa pandemia, ma anche tra quelli che più si è ingegnato per rimanere comunque attivo e non soccombere. Oggi è venerdì quindi puoi vedere qui quale concerto i Pink Floyd pubblicheranno sul loro canale YouTube, per esempio. Oppure, se sei appassionato di musicals, guardare cosa propone The shows must go on, o ancora fare il giro virtuale dei più grandi musei del mondo.
Ci sono però casi dove la pandemia ha fermato mostre appena iniziate e quindi non “attrezzate” a poter far vedere da casa le opere esposte. La mostra dedicata a Edward Hopper, il maestro dell’isolamento urbano, rientra tra questi.
L’esposizione, inaugurata alla Fondazione Beyeler il 26 gennaio scorso, ha chiuso poco dopo a causa della pandemia, ma ora chegradualmente i vari settori stanno ripartendo, anche la Fondazione Beyeler l’11 maggio riaprirà i battenti e quindi sarà possibile ammirare sia le opere di Hopper che “Due o tre cose che so di Edward Hopper” il corto che Wim Wenders, il grande regista tedesco, gli ha dedicato.
Edward Hopper, il maestro dell’isolamento urbano
Hopper nasce il 22 luglio del 1882 a Nyack, stato di New York. Appartiene a una famiglia colta e facoltosa e su loro suggerimento, al termine del college inizia a frequentare il corso per diventare Designer commerciale al New York Institute of art, avendo manifestato grandi capacità pittoriche sin dalla più giovane età.
Al termine degli studi entra come pubblicitario all’agenzia C. Phillips & Company, dove resterà per 15 anni, progettando le copertine per riviste di settore pur preferendo di gran lunga dipingere. Sarà un viaggio a Parigi nel 1906 che gli aprirà gli occhi facendogli capire la sua strada.
Al rientro apre lo studio a New York dove comincia a dipingere la vita nelle strade e nei caffè citadini, mantenendo comunque il lavoro di pubblicitario free lance. Nel 1907 torna in Europa e in città come Berlino, Bruxelles e Londra troverà l’ispirazione per rendere definitivo quello stile che lo caratterizzerà in tutte le opere.
Rientrato a New York partecipa a una mostra, ma non vende nessun quadro e non suscita l’interesse degli addetti ai lavori, quindi decide di tornare a Parigi dove passerà sei mesi a dipingere. Studiare gli Impressionisti, Degas in particolare, gli fa trovare il giusto modo di rappresentare gli interni e le inquadrature come fossero fotografie.
Per iniziare a raccogliere meriti e riconoscimento come pittore bisogna arrivare agli anni 1923/1924, due sue mostre che hanno un grande successo e la sua posizione di membro del Whitney Studio Club, che raggruppa gli artisti indipendenti di quel periodo, fanno sì che diventi uno dei caposcuola dei Realisti americani e possa finalmente vivere del suo lavoro di pittore.
Il MoMa lo inserisce nel 1929 nella mostra “Dipinti di diciannove artisti americani viventi“, ma bisogna arrivare al 1933 perché gli dedichi una retrospettiva. La seconda sarà nel 1950 al Whitney Museum, quando ormai Edward Hopper è un pittore famoso. Continuerà a dipingere sino alla sua morte, avvenuta il 15 maggio 1967.
Lo stile di Hopper è universalmente noto. Negli interni rappresentati si riesce quasi a percepire il silenzio, la solitudine dei protagonisti, spesso ritratti da soli, oppure non più di tre elementi che però non interagiscono tra loro. Il pittore fissa il momento senza troppe spiegazioni, lasciando libera interpretazione a chi guarda il quadro di scegliere cosa abbia portato sin lì la persona rappresentata o cosa l’aspetterà dopo.
Molto meno noti sono i paesaggi dipinti da Hopper e sui quali la Fondazione Beleyer ha deciso di puntare l’attenzione. Anche questi dipinti hanno la malinconia e il senso di solitudine che caratterizzano tutte le opere di Edward Hopper, ma hanno anche una geometria pulita degli spazi e lasciano a chi li guarda una sensazione di sospensione, come se qualcosa stesse per accadere fuori dal quadro, ma non è dato di vederlo a chi lo ammira.
Wim Wenders, Due o tre cose che so di Edward Hopper
Un altro buon motivo per visitare la mostra è sicuramente il cortometraggio che Wim Wenders, il famoso regista tedesco autore di capolavori come Il cielo sopra Berlino e documentari come quello dedicato al Buena Vista Social club, noto gruppo cubano, ha realizzato per celebrare Edward Hopper.
Il regista ha scoperto i lavori di Edward Hopper negli anni ’70 ed è rimasto colpito da queste opere, tanto da trarne ispirazione come altri registi prima di lui, Alfred Hitchcock si ispirò alle case bianche di Hopper per la villa di Psycho e altri suoi contemporanei (da chi credete abbia preso ispirazione David Lynch per i distributori di benzina e motel disseminati nei suoi film?).
Il corto dura 14 minuti e mostra i quadri di Hopper in 3D che si animano in storie di vita reale, dando un’interpretazione a quelle immagini in attesa che il pittore ritraeva nei suoi quadri. Wenders ha scelto quadri non presenti nella mostra, a parte il celebre Gas del 1940, per dare un filo conduttore alla storia. Anche lui però non definisce personaggi e situazioni, lasciando, come Hopper che sia lo spettatore a decidere cosa sta succedendo.
Il mondo piano, piano, torna alla vita e questa mostra, prorogata fino al 26 luglio prossimo, può essere un bel modo per ripartire.