Caro iCrewer, oggi mi trovo qui a segnalarti una mostra fotografica nata per ricordare la tragica alluvione del Polesine del 1951. La mostra si intitola 70 anni dopo. La Grande Alluvione, a cura di Francesco Jori, con Alessia Vedova e Sergio Campagnolo, e promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
La mostra fotografica sarà aperta al pubblico fino al 30 gennaio 2022 presso Palazzo Roncale a Rovigo.
La mostra: 70 anni dopo. La Grande Alluvione
Ha affermato il Presidente della Fondazione, Gilberto Muraro:
Ricordare oggi, a settant’anni di distanza, quell’evento è un dovere sociale. Non tanto, o non solo, per ripercorre una cronaca che si è fatta storia, ma per capirne la genesi, ciò che nel tempo ha condotto a quei terribili giorni. Per riflettere, nell’oggi, sull’eterna e disattesa urgenza di rispettare i fiumi e l’ambiente. Ed è anche occasione per capire, mentre i testimoni diretti dell’evento diventano sempre più rari, cosa di esso sia rimasto nel DNA personale e sociale dei Polesani, di quelli che hanno continuato a vivere in Polesine e dei Polesani costretti a nascere e crescere altrove. Per i quali la Grande Alluvione è un brano importante della storia familiare, ancora presente ma fatalmente destinato ad evaporare generazione dopo generazione.
Ha proseguito Muraro:
Questa mostra intende soprattutto focalizzare come quella tragedia si ripercuota oggi nel tessuto fisico, sociale ed economico del Polesine. Cercando di indagare cosa, oltre al ricordo, al dolore, alle tragedie personali e sociali, derivi oggi, 70 anni dopo, da quell’Alluvione. Che certamente bloccò un territorio ma che orgogliosamente, grazie anche alle previdenze statali per le aree disagiate e agli aiuti di molti italiani e non solo, ebbe la forza di riprendersi, pur restando estraneo all’esplosione industriale che a partire dagli anni Sessanta mutò il volto di altre province del Veneto.
Ha sottolineato il curatore della mostra Francesco Jori:
In carenza di un vero sviluppo del comparto industriale, il Polesine ha puntato su quello agricolo, riqualificandolo e riqualificandosi, dal riso alla orticoltura. Un territorio che ha fatto di un Delta abbandonato e nemico, di una terra di malaria prima e di pellagra poi, una delle più ambite e importanti aree umide d’Europa, riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio della Biosfera.
Che ha saputo qualificare anche il patrimonio del suo mare, con la mitilicoltura e la pescicoltura di eccellenza. Che da quella tragedia è stato spinto a rispettare, tutelare e valorizzare il suo ambiente. E che ha ricominciato a guardare alla globalizzazione, ricordando di essere stato, per un millennio, quando Adria dava il suo nome ad un mare, uno dei gangli di incontro delle reti commerciali del mondo.
In questi settant’anni non sono certo mancati distorsioni ed errori, fisiologico frutto dei tempi e della legittima necessità di lavoro e di benessere. Ma nel suo insieme questo territorio costituisce oggi un patrimonio ambientale e umano altrove perduto. Un patrimonio che consente oggi al Polesine di continuare a pianificare un futuro di qualità.
La Grande Alluvione del Polesine
Alcuni di noi sono troppo giovani per ricordare o per conoscere la Grande Alluvione del Polesine del 14 novembre 1951. Altri invece hanno ben impressa nella memoria l’inondazione che ha colpito e ferito la provincia di Rovigo e parte della provincia di Venezia, che ha causato circa cento vittime e più di 180.000 senzatetto, con molte conseguenze sociali ed economiche.
Una catastrofe naturale che è stata accentuata dall’incompetenza amministrativa. Ma vediamo con calma quali furono i prodomi dell’evento.
Durante le due settimane precedenti all’alluvione, si verificarono intense precipitazioni distribuite su tutto il bacino imbrifero del fiume Po. Tali precipitazioni, pur non raggiungendo nelle singole aree del bacino tributario i picchi massimi di intensità storici, furono caratterizzate da un’anomala continuità temporale e distribuzione spaziale.
Come detto, le catastrofi naturali spesso possono aumentate i loro danni, se l’uomo non interviene tempestivamente o se non rispetta la Natura e l’ambiente in cui vive. Ma non scendiamo nei meriti, perché si finirebbe con il toccare la vita politica del tempo e credo che non sia il luogo giusto per parlarne.
A causa delle innumerevoli precipitazioni, il Po crebbe velocemente, ingrossato dalle acque di tutti i suoi affluenti di destra e sinistra e col deflusso verso il mare ostacolato da venti di Scirocco.
Tra l’11 e il 12 novembre il fiume ruppe nella zona del parmense, sommergendo migliaia di ettari di terreno. Due giorni dopo la piena raggiunse il Polesine. Con questo nome si identifica l’area del Veneto compresa tra i corsi inferiori dell’Adige e del Po, e comprende l’intera provincia di Rovigo e la zona del cavarzerano in provincia di Venezia. Questo territorio pianeggiante è caratterizzato da ampie depressioni, con molti ettari a quote inferiori al livello del mare.
Per fronteggiare i ripetuti allagamenti nel tempo erano stati costruiti canali e argini che, danneggiati durante il periodo bellico e malridotti per la scarsa manutenzione, si trovavano in precarie condizioni.
Particolarmente critica era la situazione nel tratto fra Santa Maria Maddalena e Occhiobello, e fu proprio in questa zona che il giorno 14 novembre l’argine cedette, dando inizio alla più estesa alluvione del XX secolo in Italia. Le rotte furono tre, in rapida successione: la prima, che raggiunse i 220 metri di lunghezza, si verificò nel tardo pomeriggio nel territorio di Canaro, a Paviole; le altre due, lunghe rispettivamente 312 e 204 metri, si aprirono nel comune di Occhiobello, a Bosco e a Malcantone.
In diversi modi, negli anni, si è parlato della Grande Alluvione del Polesine. Anche attraverso i film, in particolare, ricordo il film Il ritorno di Don Camillo (1953).