Melencolia è una delle opere più misteriose di Albrecht Dürer, nonché una delle opere più affascinanti della Collezione permanente della Fondazione Magnani-Rocca. Si tratta di una piccola incisione a bulino (239x168mm), realizzata nel 1514.
Un disegno fitto di simboli all’apparenza indecifrabili, che nasconde messaggi esoterici ma anche alchemici e persino un quadrato magico definito magico.
Un’opera il cui fascino attrae da secoli e indistintamente le attenzioni più profonde di artisti, critici, scrittori e in tempi più recenti persino registi.
Questa sera ti porterò con me alla scoperta delle 7 cose che forse non sai su uno dei disegni certamente più famosi di tutta la Storia dell’Arte.
Bile Nera
Osservando l’opera in alto a sinistra, tra la cometa, l’arcobaleno e l’acqua, si staglia nel cielo una targhetta con l’iscrizione “Melencolia I”, sorretta da un pipistrello.
La melancolia, ovvero la bile nera, era considerata nel V secolo a.C. dal medico Ippocrate, una delle quattro tipologie psicofisiche: il sanguigno, il flemmatico, il collerico ed infine, il malinconico.
Un carattere malinconico era ritenuto fin dai tempi di Aristotele tipico del temperamento artistico e comunque stato d’animo riconducibile all’arte.
Lo stereotipo dell’artista melanconico ha lo sappiamo origini antichissime tanto che si pensava che il genio artistico fosse connesso ad un temperamento saturnino, cioè dominato dal pianeta Saturno, considerato un astro malinconico, a causa del suo comportamento astronomico di procede molto lentamente nell’ itinerario intorno al sole.
La trilogia
La Melencolia I fa parte di un trittico di disegni di Dürer che viene detto dei Meisterstiche insieme al San Girolamo nella cella anche esso presente nella Collezione permanente della Magnani-Rocca e al Cavaliere, la morte e il diavolo.
Le tre immagini non sono legate da un punto di vista compositivo, bensì si configurano come allegorie di tre esempi differenti di vita e virtù.
Quadrato magico
Gli elementi e la composizione della Melencolia incuriosiscono da secoli i critici d’arte e gli studiosi di iconografia, smarriti di fronte all’enigma di una delle immagini più ricche di dettagli di tutta la storia dell’arte: una donna alata, un putto, un cane, una clessidra, una bilancia, una sfera, un compasso, una cometa, un quadrato magico.
I numeri di ognuna delle righe del quadrato e di ogni colonna, se sommati, danno 34, inoltre nei due riquadri in basso compare 1514 che è la data di esecuzione dell’opera, ma anche l’anno della morte della madre dell’artista.
Tra le tante interpretazioni proposte dai vari iconologi, Calvesi dà una lettura “alchemica” con un particolare riferimento alla nigredo, prima fase del procedimento alchemico, governato dal pianeta Saturno, il pianeta della “pesantezza”.
Firma nascosta
Aguzzando la vista, sul gradino in basso a destra sono state incise data e firma dell’artista. Dürer, quando non firmava le sue opere con il nome completo, si firmava con un monogramma: una grande “A” maiuscola, comprendente al di sotto una “D”. Si tratta di una delle firme più famose, riconoscibili e curiose di tutta la storia dell’arte.
Icona dell’artista malinconico
Spesso i tipi iconografici si arricchiscono di nuovi e diversi significati, modificandosi e contaminandosi l’uno con l’altro. Ma dal XVI secolo, venne a codificarsi una vera e propria iconografia della “melanconia”, a partire proprio dall’incisione dureriana: la rappresentazione di una figura umana con sguardo rivolto altrove, assorto, che appoggia il viso al palmo della mano.
Dalla donna alata di Dürer, a La Melanconia di Jacob de Gheyn, a Michelangelo raffigurato da Raffaello ne La Scuola di Atene con il tipico atteggiamento “malinconico”, al Doppio ritratto di Giorgione, fino alla Melanconia di Giorgio de Chirico del 1912.
Dan Brown e Lars Von Trier
L’incisione di Dürer non ha smesso di affascinare gli artisti nel corso della storia e altrettante personalità in età contemporanea; basti pensare allo scrittore Dan Brown, il quale decise di citare il quadrato magico con i numeri all’interno del suo ultimo romanzo “Il simbolo perduto”.
Anche in ambito cinematografico ci fu qualcuno che non rimase immune dal suo fascino: si tratta del regista danese Lars Von Trier, che intitolò il suo film del 2011 “Melancholia”: per la realizzazione del film si ispirò ad un reale episodio di depressione che lo colpì e lo stesso intreccio della pellicola è basato su questo umore.
E’ un autoritratto
Secondo molti critici, ed in particolare Panofsky e Saxl, Melencolia I è anche un “autoritratto spirituale” dell’artista malinconico pervaso già da una tensione che si direbbe quasi romantica e che era tratto distintivo del carattere di Luigi Magnani che come dice Vittorio Sgarbi
di fronte alla sempre misteriosa vastità del sapere si è trovato perduto e sconfortato come la Melencolia dureriana, cui neppure il soccorso delle ali poteva bastare a vedere la strada certa della conoscenza