Salvatore Quasimodo, noto al mondo per la sua poesia, si ritrovò per caso con pennello e colori tra le mani e, così, si lanciò in un’unica esperienza di arte visiva. Un esperimento sorprendente, segnato dall’astrattismo, che ha portato alla realizzazione di 27 gouaches – dipinti ottenuti con la tecnica dei colori a tempera opachi. Quasimodo, però, non era convinto del valore artistico delle sue opere e desiderava distruggerle, forse per modestia o per il timore di non essere all’altezza nel mondo delle arti visive.
Ma il destino si intromise, e grazie all’amico poeta Alberto Lùcia – che riuscì a ottenere una dichiarazione di donazione da Quasimodo – le opere furono salvate. Oggi, quei 27 dipinti, custoditi per anni in un caveau di una banca tedesca, sono finalmente visibili al Museo Riso di Palermo, nella mostra intitolata “Oltre Quasimodo. Le 27 gouaches. Sapevo già tutto, e volli peccare”, aperta dal 6 dicembre al pubblico.
L’arte visiva come specchio dell’anima
Il titolo della mostra riprende una frase che Quasimodo scrisse in una lettera alla danzatrice Maria Cumani, sua compagna e madre del figlio Tommaso. Nella lettera, il poeta fa riferimento alle sofferenze “fisiche e dello spirito” che il suo amore per la poesia gli aveva causato, riprendendo una frase del Prometeo di Eschilo. Per rendere questa esposizione ancora più significativa, il figlio Tommaso Quasimodo ha accostato ogni dipinto a versi del padre nei quali compare la parola “cuore”. Un abbinamento profondo e suggestivo, che già era stato realizzato nel 1993 e che ora viene riproposto all’interno delle sale di Palazzo Riso.
Un’avventura pittorica nata dal caso
La storia di questi dipinti è, di per sé, un piccolo racconto intrigante. Tutto cominciò nel 1953, quando l’amico Alberto Lùcia arrivò nello studio di Quasimodo a Milano con un pacco destinato non a lui, ma al drammaturgo siciliano Beniamino Joppolo. Il pacco conteneva colori e pennelli per Joppolo, il quale, vivendo a Parigi e in un momento di salute fragile, aveva ricevuto il consiglio di riprendere a dipingere per aiutarsi psicologicamente. Ma Quasimodo, mosso dalla sua innata curiosità, aprì quel pacco e decise di tenere per sé i materiali, lanciandosi in questo nuovo esperimento artistico che lo portò a creare piccole composizioni astratte.
Scoprire il Salvatore Quasimodo nascosto
La mostra al Museo Riso rappresenta un’occasione unica per conoscere un lato inaspettato del poeta Premio Nobel, celebre per la sua produzione letteraria. “È una mostra preziosa che ci permette di scoprire un lato inedito e inaspettato del grande Premio Nobel”, ha dichiarato l’assessore regionale ai Beni culturali e Identità siciliana, Francesco Paolo Scarpinato. Anche la direttrice del Museo Riso, Evelina De Castro, ha colto un interessante collegamento tra quei dipinti e il fervore culturale dell’epoca, dove le suggestioni dell’astrattismo si intrecciavano con le ultime espressioni dell’ermetismo – movimento di cui Quasimodo era uno dei maggiori interpreti –, evidenziando il profondo legame tra parola, immagine e intimità.
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