Carlo Levi, scrittore e pittore italiano, nato nella Torino del 1902 da una famiglia ebraica, nascita che irrimediabilmente ne segnò il destino fino al secondo conflitto bellico e oltre.
La paura della libertà è il sentimento che ha generato il fascismo. Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone e nulla è più faticoso e veramente spaventoso dell’esercizio della libertà
Queste le parole di Carlo Levi, poche righe in cui racchiude l’essenza e la forza del suo pensiero.
Quello che Carlo Levi non riversò sulla carta, lo fece sulle tele
Carlo Levi nel 1942 si trovava a Firenze e fu nella città Toscana che dipinse il quadro diventato famoso con il nome le donne morte o campo di concentramento ( il lager presentito).
Fu dipinto da Carlo Levi prima che i lager venissero scoperti. Riuscì a dipingere cataste di scheletrici cadaveri, amara e sorprendente premonizione che trovò conferma dalla realtà delle cronache dell’epoca solo tre anni più tardi quando, l’irrompere degli alleati nei campi di concentramento, portò alla luce lo sterminio perpetrato durante gli anni della guerra.
Il dipinto Donne morte di Carlo Levi, mette in primo piano e in risalto, corpi al limite della magrezza dove questo stesso termine sembra a dir poco inadeguato per la sola assonanza lessicale a qualcosa che sa di normale, pur nella sua accezione più estrema.
Quei corpi ammassati uno sull’altro, sono essi stessi portavoce della drammaticità dei fatti verificatisi in quegli anni e testimoniano il confine estremo oltre il quale, con disumana ferocia e cruenza, altri esseri umani si sono spinti contro propri simili.
Le donne dipinte da Carlo Levi in questo quadro, sembra che, attraverso i loro stessi corpi ormai inermi, riescano a trasmettere, e si percepisce soffermandosi sull’esatta posizione in cui sono accatastati, le urla represse sia del corpo che dell’anima, quelle del torto subito nella morale e quello subito nel fisico, parimenti dolorosi, parimenti meschini, parimenti indimenticabili.
Corpi privati di tutto, della loro stessa fisicità come della dignità, sui quali mai dovrà tramontare l’illuminante luce della memoria.
Carlo Levi, si era laureato in medicina nel 1923 e per i cinque anni successivi, ha svolto il ruolo di assistente presso la clinica universitaria della sua città natale ma ben presto comprese che forse quella non era la sua strada.
Era fortemente affascinato Carlo Levi, dal mondo dell’arte, tanto che concentrò l’eruzione di questa sua passione, essenzialmente sulla scrittura e sulla pittura, due momenti nei quali il Carlo Levi artista riusciva al meglio ad interpretare i propri intimi sentimenti e parteciparli, veicolandoli attraverso l’arte, a chi avesse voglia di ascoltarli.
L’amicizia con Piero Gobetti lo portò ad un forte impegno in politica, nelle retrovie per così dire che però naturalmente aumentò in fermezza ed intensità, quando il regime fascista promulgò le leggi razziali.
Fu in quegli anni che Carlo Levi, grazie all’amicizia e collaborazione con Nello Rosselli, Riccardo Bauer e Mario Andreis, fondò la rivista La lotta politica, pubblicazione antifascista redatta a Torino ma per ovvi motivi, stampata oltre i confini nazionali.
Di questa pubblicazione uscì un numero soltanto ma fu sufficiente a far legare ancora di più Carlo Levi agli altri intellettuali antifascisti, da cui scaturì un fine più ampio, quello di far nascere un vero e proprio movimento con tanto di elaborazione programmatica.
Fu così che Carlo Levi si affiliò come militante al movimento Giustizia e Libertà che comportò una certa repressione da parte del regime fascista e che vide Carlo Levi confinato nelle terre lontane e allora desolate della Lucania.
Tornato a Firenze dopo la caduta del Duce, potè con lo stesso fervore di sempre, partecipare attivamente e da intellettuale alla guerra di liberazione, nelle fila della resistenza fiorentina.
Impegno politico continuo e instancabile che nel 1963 lo portò ad essere eletto Senatore della Repubblica Italiana.
Morì a Roma il 4 gennaio 1975 e per sua stessa volontà testamentaria, fu sepolto nella città lucana di Aliano, in provincia di Matera, luogo del suo ultimo confino, durante il quale scrisse il capolavoro Cristo si è fermato a Eboli.