Diavù è uno di quegli artisti che ci insegna che la strada è da sempre il luogo degli incontri e dello scambio, dove il passante entra nell’opera dell’artista, a volte con fretta e indifferenza, a volte integrandosi come un tassello di un mosaico più grande, quello dove la vita e l’arte si intersecano e rendono vivi ed eterni i racconti della vita vissuta delle persone che hanno abitato in un determinato luogo.
E quando questi incontri creano una magia si dipana quel filo rosso dei destini che crea conoscenza, passione e ricchezza. Compito dell’arte per Diavù è quello di rigenerare i luoghi e le persone.
Il 21 maggio 2021, presso il Centro Commerciale AURA (Valle Aurelia, Roma) è stato presentato il nuovo progetto artistico di David “Diavù” Vecchiato promosso proprio dal Centro Commerciale. L’opera, realizzata sulla scalinata più lunga di accesso ad AURA, in corrispondenza della Piazza dell’antica Fornace Veschi, raffigura il “Gaetanaccio nella Valle dell’Inferno” del Maestro Gigi Proietti.
Oltre a Diavù sono intervenuti alla presentazione: Fabrizio Di Bella, Direttore del Centro Commerciale Aura, Carolina Sarti Communication Specialist Account del Centro Commerciale Aura e l’Avvocato Marco Vannutelli, Vicepresidente del XIII municipio.
“L’arte unisce. Persone, luoghi, valori. Con questo spirito abbiamo voluto realizzare un omaggio alla romanità, autentico e sincero. Un percorso possibile solo grazie alla visione e all’impegno condiviso di Svicom, società di gestione di Aura, e Forum Real Estate Management, asset Manager del Centro”
Questa la dichiarazione del Direttore del Centro Commerciale Fabrizio Di Bella.
Oggi caro Icrewer ti voglio riportare la testimonianza di Diavù, nell’intervista che ci ha gentilmente concesso.
Intervista a Diavù
Chi è Diavù e quali sono state le sue esperienze più significative?
Questa è una domanda da un milione di dollari! Chi è Diavù? Sono un artista, che ha scelto sin dall’inizio un’arte che fosse non elitaria, ma un’arte che dialogasse con tutti. Ho cercato attraverso una serie di esperienze professionali di trasmettere questo. Per esperienze intendo non solo la street art che ha cambiato un po’ la figura dell’artista. Dieci o venti anni fa l’artista viveva come una figura isolata, lontana dalle persone, mentre oggi vive accanto alle persone, dall’idraulico, alla vicina che lavora nel supermercato, ma ha tutta una poetica da trasmettere agli altri.
Sono passato dal fumetto, all’illustrazione, copertine di dischi e libri, ho cercato di mettere la mia visione in tanti linguaggi dell’arte fino all’arte urbana o Street art e ho realizzato diversi progetti che non coinvolgono solo me, ma anche altri artisti.
Diavù e il lavoro sull’anamorfico
Mi piace lavorare da solo, ma anche in coro. Non sono molto legato alla nostalgia, ma stilisticamente questa delle scalinate è un’esperienza molto personale dell’arte urbana. Nella Street art, quando ho iniziato nel 2015, ne vedevo poche. Ho iniziato questo lavoro sull’anamorfico, sulla figura che si compone e che ti chiede di muoverti e trovare il punto di vista per riuscire a vederla e a comprenderla. Questo fa parte di una mia ricerca che va al di là della scalinata. Faccio anche opere che sono anamorfiche che coinvolgono le persone a fare parte dell’opera.
Ad esempio se ti fotografano sulla scalinata sei anche tu un’opera d’arte. Questo è uno degli obiettivi finora raggiunti, ma è un work in progress, nel senso che si va avanti e si prosegue con la ricerca.
Come si inserisce questa iniziativa nel progetto di Urban Art per riqualificare i quartieri di Roma?
Io preferisco usare il termine “Rigenerare”. Credo che la riqualificazione sia legata più a una manutenzione ordinaria del luogo. Riqualificare un luogo significa ad esempio rimettere le panchine, il verde pubblico, l’arte dovrebbe essere esclusa da questa idea e dal concetto del decoro urbano. L’arte è molto di più e nella funzione della città può essere molto di meno, nel senso che puoi avere un bel murale, ma se non hai le fogne siamo di fronte a un problema serio e il murale può dare anche fastidio ai cittadini.
Parlerei proprio di rigenerazione, più che urbana, umana. A livello pratico c’è un lavoro sulla rigenerazione urbana, soprattutto se realizzi un murale in un quartiere di periferia dove non hanno un cinema o un museo. Ma si tratta anche di una rigenerazione umana perchè i bambini crescono in mezzo all’arte.
Diavù e il Gaetanaccio
Attraverso il recupero di Gaetano Santangelo, Gaetanaccio, personaggio amato sia da Gigi Proietti e da Luigi Magni che fu l’autore di questa commedia interpretata da Proietti, si racconta alla gente l’esistenza di questo personaggio che rischiava di essere dimenticato.
In un certo senso era un artista di strada del teatro, creava totalmente il burattino e inventava le storie portando nelle strade il suo castelluccio. Il teatro di animazione nell’800 si rivolgeva ad un pubblico adulto ed era uno strumento di diffusione dei racconti e della conoscenza, poichè la gente non leggeva i giornali e non aveva modo di accedere al teatro.
Il suo modo di fare teatro era ostacolato dal potere, Gaetanaccio era una specie di Pasquino che nel raccontare le sue storie ci metteva la faccia e i burattini. Questa per me è un’opera dedicata soprattutto al teatro, la morte di Proietti è infatti simbolica. Muore il giorno in cui nasce, dopo che il teatro è stato chiuso per un anno.
Proietti non è un semplice teatrante, ma un uomo che ha dato tutta la vita al teatro e che si è rapportato con le istituzioni per poter avere il suo laboratorio di Arti sceniche del Brancaccio e poi il Globe theatre. a inoltre preso tanto dal teatro mettendo in scena di tutto. Luigi Magni ha cucito sullo stesso Proietti sia Gaetanaccio, sia I Sette re di Roma.
Sono sempre stato un appassionato del teatro di Gigi Proietti e dell’opera di Gigi Magni. Non ho voluto creare un’opera “funebre”e non ho intenzione di commemorare Gigi Proietti, ma di dar vita alla sua grande passione che era la Commedia di Gaetanaccio, e per una forma di rispetto ne ho parlato con Carlotta Proietti e con Luigi Longobardi, nuovo Direttore artistico del teatro Brancaccio. Dalla Fondazione Magni ho avuto la sceneggiatura originale del Gaetanaccio, ed era emozionante avere tra le mani la copia scritta a mano da Luigi Magni.
Io vorrei che questa scalinata diventasse un portale che ci introduca nel mondo di Proietti, di Gigi Magni, della Roma dell’800 del Gaetanaccio. Mi è venuta a trovare Stefania Placidi, studiosa della musica popolare che ha suonato spesso con Giovanna Marini. E’ venuta a suonare perchè conosceva la mia passione per le canzoni del Gaetanaccio.
Il soggetto di Gaetanaccio è stato scelto attraverso dei sondaggi sulle pagine social del Centro Commerciale Aura. Vedi l’arte come un fatto più collettivo o individuale?
E’ stato un passaggio azzardato quello del sondaggio sui social, poichè la gente spesso si sfoga in maniera negativa. Ho parlato con Carolina che è la responsabile della comunicazione, ma noi eravamo molto tranquilli e abbiamo cercato di trasmettere una passione di fondo.
Per quanto riguarda la domanda sull’arte collettiva e l’arte individuale, ti faccio un esempio: tu vuoi preparare un piatto e hai degli ingredienti con i quali potrai preparare dei piatti diversi, ma saranno sempre limitati e tutta la vita ti potresti trovare a mangiare solo quei dieci piatti. Le altre persone ti portano nuovi ingredienti e alimentano l’ispirazione. Poter chiedere il parere degli altri mi permette di creare sempre qualcosa di nuovo. Quando comunichi attraverso l’arte e guardando negli occhi le persone si crea un coinvolgimento attivo. Se dai ad un bambino un foglio e gli fai fare un disegno conoscerai la sua voce interiore, per questo amo lavorare con i bambini.
Il mettersi in gioco fa bene all’arte. Faccio street art anche per sentire la gente parlar male di me. I complimenti sono gratificanti, ma quando arriva una critica anche acida, se si supera quel primo strato di acido diventa interessante e si riesce a capire un punto di vista diverso, anche per questo faccio arte anamorfica.
Cosa consiglieresti ad un giovane artista?
I giovani non devono dimenticare di essere spugne e di continuare ad assorbire. La curiosità ti salva la vita e ti mette in relazione con gli altri. Quando la spugna è piena la spremi e poi assimili altro. Lo studio e la relazione con gli altri come strumento di conoscenza sono fondamentali altrimenti si rischia di girare attorno a se stessi. Uno stile a volte può diventare una gabbia e se l’artista non trova nuovi stimoli rischia di bruciarsi.
In questa fase di ripartenza nel nostro paese si può cercare di investire sulle varie forme d’arte e sul turismo? Si possono creare nuove occasioni di lavoro?
Io penso che se sfogliamo le leggi italiane ci chiediamo se l’artista sia veramente al centro. Si può trovare il linguaggio artistico, ma non la persona. Bisogna creare un’economia positiva all’interno del settore in cui la persona opera.
Ho l’impressione che si tenda a favorire chi ha le chiavi burocratiche e formali per approfittare di una regola. Se esce un bando l’ultima persona che sa come compilarlo e partecipare è proprio l’artista, colui a cui sembrerebbe rivolto il bando. Partecipano quelle associazioni per cui il bando viene creato. Abbastanza raramente viene richiesto chi ha un curriculum e un portfolio. Chi ha molti anni di esperienza, un curriculum e un portfolio deve sempre ripartire dal grado zero. Bisognerebbe aprire un ufficio dedicato che permetta all’artista di partecipare ai vari bandi in maniera giusta ed equa.
La nostra società si comporta come se gli artisti non fossero professionisti e si approfitta spesso del pudore dell’artista nel far vedere la fatica del proprio lavoro. Bisogna fare tesoro di ciò. Gli artisti dovrebbero essere sempre in attività.
Stanno facendo bandi di street art aperti a tutti, i selettori sono consiglieri municipali, spesso non hanno competenza artistica, come poteva essere nel passato con figure come il Papa Sisto V e Lorenzo De Medici che erano uomini di cultura. Le soprintendenze devono poi in qualche modo arginare e mantenere lo status quo. Ci dovrebbe essere un po’ tutto, ma in livelli differenti. Invece succede che le varie esperienze vengono messe sullo stesso livello. Questo non è aiutare l’arte, rischia di essere una palude.
Ci dovrebbero essere delle commissioni non solo di accademici, ma di addetti ai lavori che poi mettano in atto i progetti e dialoghino con le istituzioni.
Progetti futuri?
Sto facendo un progetto con MU.ro e Città del sole di Roma, con la nostra associazione Museo dell’Urban Art di Roma e con i dieci negozi della Città del sole. Il progetto si chiama “Il tempo delle noci”. Sto realizzando 100 piccole opere, degli stencil, realizzati sulle cabine dei semafori, che sono ad altezza di bambino. Sto attivando 10 workshop con altrettanti 10 bambini, coinvolgo 100 bambini e 100 opere.
Il concept è quello di far tornare in strada i bambini dopo la pandemia. Città del sole ha messo a disposizione le sue vetrine e io e Mirko Pierri (che ha un’associazione che fa arte urbana e laboratori nelle scuole) li faremo dipingere. I bambini usciranno dalle noci, perchè nell’antica Roma l’età delle noci era l’età della fanciullezza e in questo caso, uscire dalla noce significa uscire dal guscio.
La nostra idea è quella di un’invasione di bambini per Roma.
Faremo dei progetti con le Agenzie pubblicitarie e un progetto al Parco delle Madonie nel quale sto coinvolgendo 100 artisti. Andremo a dipingere dei Murales nei comuni del Parco delle Madonie. Attraverso questi murales andremo a Raccontare quelle che sono le realtà del parco delle Madonie, ma che sono poco conosciute.
La nostra redazione ringrazia Diavù per la sua bella testimonianza