Il mio ricordo di Giorgio Albertazzi è legato ai miei esordi di carriera in qualità di critico teatrale. Agli inizi degli anni 2000 andavo spesso a seguire le mie prime conferenze stampa al Teatro di Roma del quale Giorgio Albertazzi era il Direttore artistico.
Il 20 agosto avrebbe compiuto 99 anni, e io lo conobbi sulla soglia dei suoi 80 anni che amava definire “Quattro volte 20 anni”.
La prima sensazione che ebbi era quella di un attore che portava se stesso in scena. Ogni personaggio si rivestiva della personalità di Albertazzi, mentre per quanto riguarda il suo ultimo grande personaggio, l’Imperatore Adriano era difficile stabilire quel confine tra l’attore e l’Imperatore.
Giorgio Albertazzi, l’adesione alla Repubblica di Salò e la formazione
Nacque a Fiesole, in provincia di Firenze il 20 agosto 1923, viveva in una dependance della Villa I Tatti di Bernard Berenson, dove suo nonno Ferdinando prestava servizio.
Nella sua vita è presente un “neo”, che più volte ha spiegato e giustificato e a causa del quale la sua nomina come Direttore del teatro di Roma suscitò diverse polemiche e gli venne revocato l’incarico come docente a contratto all’Università di Torino.
Nel 1943 aderì alla Repubblica di Salò come sottotenente presso la Legione Tagliamento. Dopo la sconfitta della Repubblica sociale fu arrestato nel 1945 e trascorse due anni in carcere a Firenze, a Bologna, poi a Milano. Fu liberato nel 1947 a seguito dell’amnistia Togliatti.
Egli non negò mai la sua adesione alla Repubblica di Salò, neanche quando fu Direttore del Teatro di Roma. In un’intervista del 1989 Albertazzi dichiarò:
«Per chi come me aveva il mito non tanto del Duce ma di Ettore Muti, ucciso dai badogliani, di Italo Balbo, abbattuto nel cielo della Sirte, degli eroi della Folgore disfatti a El Alamein, la “parte legale”, l’Italia, era quella. E io ho combattuto per l’Italia”
Il suo aderire alla Repubblica sociale era stato il puro “piacere dell’avventura”.
Più tardi dichiarò:
“Ho aderito alla Repubblica Sociale perché venivo fuori da una famiglia che aveva vissuto il fascismo, e per me e altri era la scoperta di una via socialista anticlericale e contro il re, e sono coscientissimo che, sia quelli che si sono schierati come me, sia quelli che hanno abbracciato un’ideologia partigiana volevano altrettanto sostenere una posizione di dignità, di morale e di fermezza […]. L’identità che man mano m’è venuta fuori è quella di un anarchico di centro.”
Albertazzi comincia la sua carriera tra televisione, teatro e cinema
Per quanto riguarda la sua formazione Albertazzi si diplomò al Liceo classico e si laureò in Architettura. Cominciò a lavorare come attore di fotoromanzi, in teatro al cinema e in televisione. Debuttò nel 1954, in televisione e fu il “pioniere del Teatro in Tv, in quanto esordì con Romeo e Giulietta, 26 giorni dopo l’esordio della Tv in Italia. La tragedia di Shakespeare fu inserita in un contenitore dal titolo La prosa del venerdì.
Nel 1949 esordì al maggio musicale fiorentino con Troilo e Cressida di Shakespeare, regia di Luchino Visconti. Inoltre nel 1964 per i 400 anni dalla nascita di Shakespeare, Albertazzi esordì a Londra al Teatro Old Vic con Amleto, per la regia di Franco Zeffirelli. Tra le attrici presenti ricordiamo Anna Proclemer e Anna Maria Guarnieri.
Lo spettacolo, che rimase in cartellone due mesi, consacrò la fama di Albertazzi, tanto da ottenere una sua foto inserita nella galleria del Royal National Theatre, come uno dei più grandi interpreti shakespeariani.
In un’intervista Giorgio Albertazzi dichiarò di non aver mai chiuso i conti con Amleto, come se la presenza di questo personaggio si annidasse in tutti gli altri personaggi:
E’ vero; ci sono testi con cui non chiudi mai i conti. Amleto io lo farei ogni momento, perché esso é la sintesi del teatro.
Per quanto riguarda il cinema nel 1961 fu memorabile la sua interpretazione in L’anno scorso a Marienbad, regia di Alan Resnais. Il regista in un primo momento aveva pensato di assegnare la parte a Lawrence Olivier, ma poi si rese conto che avrebbe voluto un attore meno conosciuto al pubblico del grande schermo, ma di grande esperienza professionale. Gli parlarono di Giorgio Albertazzi, vide della foto e lo mandò a chiamare. L’attore recitò in lingua francese e Resnais non volle assolutamente che Albertazzi venisse doppiato.
Memorabile la sua esperienza registica e attoriale televisiva con Jekyll nel 1969, tratto dal romanzo Lo strano caso del Dottor Jeckyll e Mr Hide. Nello stesso anno alla Scala di Milano, interpretò Edipo re di Sofocle per la regia di Giorgio De Lullo.
Nel 1980 fu al Teatro La Fenice di Venezia con Peer Gynt di Henrik Ibsen, di cui curò la regia e l’adattamento. Collaborò anche con il servizio pubblico di Rai 3, Dipartimento scuola educazione del 1988 con la lettura integrale dell’Inferno, di Dante Alighieri. E con grande emozione ricordo la sua lezione sull’Inferno dantesco, accompagnata dalla musica, presso il Liceo Giulio Cesare a Roma nel 2003. Ero una critica teatrale in erba e lui mi riconobbe, dopo avermi visto in numerose conferenze stampa ed eventi dell’Argentina e mi venne a salutare.
Nel 1997 ebbe due importanti collaborazioni: una con la cantante Giuni Russo e l’altra con Dario Fo e Franca Rame. Con Giuni Russo andò in scena con Verba Tango, mentre con Franca Rame interpretò il testo scritto da Dario Fo, Il diavolo con le zinne, con il quale andò in scena al Festival di Taormina.
Nel 2003 fu nominato Direttore artistico del Teatro di Roma. Nel 2004 venne insignito del Premio Gassman alla carriera. In quegli anni presentò alcuni suoi spettacoli come Il mondo di Mr Peters di Arthur Miller che negli Stati Uniti era stato interpretato da Peter Falk, conosciuto dal pubblico televisivo come Il Tenente Colombo.
Nel 2005 sempre al Teatro Argentina portò in scena insieme ad Anna Proclemer, Diario privato per la regia di Luca Ronconi. I due attori che avevano raggiunto gli 80 anni, come veri animali da palcoscenico, si muovevano sul palco seduti su delle sedie da ufficio con delle rotelle, dando vita alla storia movimentata e tormentata di due amanti e al loro bizzarro carteggio e si muovevano con l’energia di due ventenni.
Come direttore artistico del Teatro Argentina diede vita ad una stagione molto interessante nella quale riuscì a portare artisti di fama internazionale come Nekrosius e Abbas Kiarostami con un memorabile spettacolo al Teatro India.
Non mancavano grandi nomi come Castri e Ronconi ed iniziative letterarie interessanti come i Lunedì del Teatro Argentina che conservo nella memoria.
Inoltre Albertazzi intraprese delle tournèe con il suo cavallo di battaglia, Le memorie di Adriano, tratto dal celebre libro di Marguerite Yourcenar e per la regia di Scaparro.
L’attore si immerge completamente nei panni dell’Imperatore Adriano che minato dalla malattia, ripercorre la sua vita piena di glorie di bellezza e di amori, quello più forte ed intenso è quello per il giovane Antinoo.
“Quando superi la semplice citazione e ti racconti, è un brivido. Dici: le gambe non mi sorreggono più, come fa Adriano all’inizio, e sei tu che parli delle tue stesse gambe ma per un miracolo alchemico sei anche Adriano che parla delle sue”.
Adriano come Amleto è stato per Albertazzi un altro personaggio con il quale non ha mai smesso di fare i conti. Ha cominciato a portarlo in scena dal 1989 e da allora ne viveva tutte le sensazioni, i dolori, i tormenti. Tra l’attore e il personaggio si creava questa fusione alchemica; ed è proprio questa l’eterna bellezza e la magia del teatro.
Infine nel 2009 ha interpretato al Teatro Ghione, Lezioni americane, di Italo Calvino e al Teatro greco di Siracusa Edipo a Colono.
Ci ha lasciato nel 2016.
Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer
Dal 1956 i due attori furono compagni in scena e nella vita. Il critico Roberto Monticelli ha messo in evidenza come i due attori rappresentino una fusione tra la grande tradizione attoriale italiana e le angosce e le nevrosi della contemporaneità.
Dal diario di Anna Proclemer è possibile estrapolare alcune testimonianze che ci rimandano alla recitazione di Albertazzi, al suo modo di porgere la battuta, al suo modo di giocare con il testo con una certa libertà. Gli attori erano in viaggio sul Transatlantico Augustus, nel giugno del 1956:
“Albertazzi “La pioggia nel pineto”. Mi ha colpito. Non avevo mai sentito dire versi così. Lo stesso rigore di Gassman –cesure, fiati, accenti ecc.- ma in più una libertà di canto, una capacità sorvegliatissima, di perdersi nella melodia, un gusto (fiorentino?) di spremere dalle parole tutte le possibilità di pura assonanza e dissonanza, di creare con la parola, un’aura magica. Forse è anche quella poesia che si presta. Dovrò sentirlo in altre cose per capire bene. Molto interessante, comunque. Dovrebbe sorvegliare di più il gesto. Forse non si è ancora posto il problema.”
Posso confermare dai miei ricordi personali che Albertazzi giocava molto con le parole e con le loro assonanze anche con il celebre sonetto dantesco Tanto gentile e tanto onesta pare. Con Dino Campana tendeva a fondersi, ma in questo caso mi ponevo la domanda “dov’è Dino Campana e dov’è Albertazzi?”, con la sensazione che Albertazzi si fosse impossessato del poeta.
Nel diario di febbraio del 1956 la Proclemer scrisse a proposito dell’interpretazione di Albertazzi:
“Ieri sera fatto qui Il seduttore. Pubblico conquistato dalla diabolica, accattivante, magnetica capacità di Giorgio di dialogare col pubblico. Mai visto nessuno capace di dare a ciascun spettatore l’impressione di stare parlando solo per lui. Applausi e risate a non finire. Critica ottima.”
Confermo anche questa impressione. Nel 2003 e nel 2005 ho visto Albertazzi interpretare Il mondo di Mr Peters
di Arthur Miller, regia di Enrico Maria Lamanna e Diario privato con Anna Proclemer, regia di Luca Ronconi. Il suo modo di recitare, pur rispettando la tradizione e pur essendo sporcato da qualche comprensibile vuoto di memoria, diventava quotidiano e coinvolgente per il pubblico, che aveva la sensazione di partecipare attivamente alla messinscena.
E infine:
“L’Albertazzi di oggi sia esattamente l’Albertazzi di vent’anni fa; quello che sapeva impallidire in scena (lo scoprì Visconti e ne fu stravolto), quello che sapeva creare spazi di metafisico silenzio, quello che riusciva a trasmettere ciò che è al di là delle parole, quello che dava dei testi letture illuminanti e originali, quello che conquistava lo spettatore marchiandogli il cuore per sempre, quello che sapeva trasformare una serata a teatro in un rito pagano e gioioso, quello che ogni sera spendeva di sé fino all’ultimo spicciolo: Giorgio Albertazzi, insomma.”
Un attore che aveva la libertà di essere se stesso, di fondersi con il personaggio, di cambiare anche le impostazioni iniziali dei suoi personaggi, perché nel frattempo aveva avuto qualche intuizione geniale e allo stesso tempo aveva la capacità di rimanere credibile e in stretto contatto col pubblico. Un pubblico che spesso disorientava, che a volte infastidiva, ma che non lo metteva in discussione.
Ti consiglio di leggere alcuni brani tratti dal sito dedicato all’attore, proverai il brivido dell’emozione teatrale