La scrittrice sudcoreana Han Kang, premio Nobel per la Letteratura nel 2024, è tornata in Italia per presentare Il libro bianco, pubblicato da Adelphi il 4 novembre. Un testo poetico e misterioso che supera i confini del romanzo per diventare un atto di memoria e rinascita.
Il ritorno di Han Kang dopo il Nobel
Sul palco del Teatro Dal Verme di Milano, Han Kang ha aperto l’incontro con una frase semplice e disarmante: “Prima ho visto la luna, era molto rotonda e bellissima. Questa è una notte in cui si può parlare del libro bianco.”
Una dichiarazione che racchiude la delicatezza e la profondità della sua scrittura. In un’ora di dialogo, l’autrice ha ricordato come la lingua stessa sia il primo strumento di creazione: in coreano, il bianco si dice hayan o huin, due parole che racchiudono sfumature opposte. Il primo rappresenta la purezza assoluta, il secondo intreccia vita e morte, luce e ombra.

Il “bianco” come vita e morte
Il libro bianco nasce dal desiderio di scrivere delle “cose bianche”, ma si trasforma in una meditazione sull’esistenza e la perdita. Han Kang racconta il tentativo di restituire una forma di vita alla sorella maggiore, morta poche ore dopo il parto, attraverso una serie di immagini — neve, latte, nebbia, farfalle — che evocano fragilità e rinascita.
“Prestare il corpo a mia sorella morta è stato come una preghiera”, confessa l’autrice, rivelando la dimensione spirituale del suo lavoro, influenzato dal buddhismo e dal senso di interconnessione tra le anime.
Varsavia, città della rinascita
Il viaggio a Varsavia, dove Han Kang scrisse le prime pagine del libro, diventa il luogo simbolico della ricostruzione. La capitale polacca, distrutta e poi rinata, riflette il percorso della scrittrice: “È una città huin, come mia sorella. Distrutta, ma ricostruita con tenacia.”
Attraverso quella città “bianca”, Kang rivive il dolore della madre e rielabora il proprio, trasformando la memoria in atto creativo. Ogni pagina è un frammento breve, quasi un respiro, che restituisce voce a ciò che non ha avuto tempo di esistere.
La sorella mai nata e il corpo prestato
Dietro le parole c’è la consapevolezza che la sua stessa vita esiste per assenza: se la sorella fosse sopravvissuta, lei non sarebbe nata. Il libro diventa allora un dialogo impossibile, un modo per condividere con il lettore un lutto universale.
“Quando ho raccontato questa storia personale”, dice Kang, “i lettori mi hanno confidato le loro. Abbiamo pianto insieme.”
È in questa comunione di dolore e bellezza che la scrittrice trova la funzione più profonda della letteratura.
La letteratura come atto di luce
Nel finale del suo intervento, Han Kang ha offerto una riflessione che sembra rispondere alle inquietudini del nostro tempo:
“Viviamo nell’epoca dell’intelligenza artificiale e della realtà virtuale, ma entrare nell’anima e nell’emozione degli altri è qualcosa che solo un libro può fare. Basta aprirlo.”
Il libro bianco non è solo una storia, ma un invito a guardare dentro il buio per riconoscere la luce. La stessa che la scrittura, da secoli, continua a custodire.
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