Parigi, 12 marzo: l’occupazione dei teatri in Francia: si aggiungono il Théâtre du Nord a Lille (Francia settentrionale) e il Théâtre de l’Union, a Limoges.
E’ globale l’attacco all’essere umano di questa pandemia che da un anno sta rivoluzionando l’intero pianeta terra, minacciando senza tregua ogni sfera, in primis il settore sanitario ma anche quello sociale ed economico.
Tutti gli ambiti colpiti da questa “guerra fredda” improvvisa, che impedisce il contatto umano in un ciclico e continuo stop dilatato, si tendono alla speranza di un vaccino risolutore, pur tenendo conto dell’attesa e di ogni controversa certezza; covid-19 è davvero un virus tenace, incapace di accettare la sua stessa fine tanto da aver sposato piu dell’essere umano la teoria darwiniana, evolvendosi e riadattandosi con impressionante scaltrezza e velocità.
Ma le case farmaceutiche stringono il pugno e non si danno per vinte, nel costante e imperterrito tentativo di raggiungere una vittoria che tarda ad arrivare, sfiorando senza sosta un decisivo “scacco matto”.
Sarà la scienza ad avere la meglio, ma nel frattempo il mondo si è fermato e l’intelletto di chi aspetta o si redime inevitabilmente in un lento appassire o scalpita nell’esplosione di una rabbia che non intravede la fine.
Tra le categorie più esasperate vi è indubbiamente il mondo culturale che affonda le sue radici in una natura fatta di presenza-assenza che riecheggia tra gli echi di silenzio in ogni museo o teatro vuoto del mondo.
Nel mentre la disperazione si fonde all’ingegno e sono molte le strutture che grazie al virtuale s’impongono al corso delle cose, tentando un approccio piu distante e meno efficace all’occhio umano, ma pur sempre presente nell’unica dimensione concessa.
Ma i teatranti rimasti senza dimora? Quelli consapevoli che i cinque sensi non si possono filtrare da un canale irreale?
Per ogni animale da palcoscenico che si reinventa al sapore di fast food, come fattorino di se stesso che porta pasti caldi ad alleviare gli umori e le coscienze in case tormentate dalla scarsità imposta da questo nuovo tempo, ce ne è un altro che non accetta il dolore di una vita in attesa; e dove non c’è accettazione scoppia la ribellione.
L’occupazione dei teatri in Francia e l’arte della Rivoluzione
Sono da sempre i francesi ad insegnarci l’arte della rivoluzione, padroni indiscussi di una genetica che si ripercuote come un mantra ad ogni pagina di storia e benchè non siano definibili allo stesso modo i genitori della più antica manifestazione culturale dell’uomo chè è appunto il teatro, reagiscono di pancia ad un governo che gli ha strappato un figlio dalle braccia.
Sono quotidiane le notizie che affollano giornali, social media sull’occupazione dei teatri in Francia che a macchia d’olio si espande come un antidoto all’impossibilità. Salgono a 10 i siti occupati da un movimento che protesta contro la chiusura dei luoghi della cultura da oltre 4 mesi.
Si richiedono senza sosta prospettive certe di riapertura e l’immediato impegno da parte dello Stato nel far fronte ad una proroga necessaria dell’ ”Anno bianco”, annunciato lo scorso anno dal presidente Emmanuel Macron che indennizza la categoria in questione fino al 31 Agosto 2021.
Ad inaugurare il banchetto di protesta è stata l’occupazione del teatro Odeon a Parigi, seguito dal teatro della Colline, tra i più popolari della capitale francese. Si sono aggiunti poi Il Teatro Nazionale di Strasburgo, il Graslin a Nantes e il Theatre della Cité a Tolosa.
Il ministro della Cultura Roselyne Bachelot ha ampiamente criticato queste occupazioni definendole “inutili e pericolose”, ma proprio il giorno prima delle sue pubbliche affermazioni il governo Francese ha liberato in favore del mondo della cultura altri 20 milioni di euro.
E in conclusione, come non pensare alla celebre frase di Fausto Bertinotti per definire il lieto fine:
“ La rivoluzione non è il potere, è la trasformazione del potere.”