La Giornata della Memoria ci aiuta a ricordare tutti gli orrori commessi dall’uomo sull’umanità. Ma a sostegno di questo Giorno, abbiamo tante testimonianze, scritte e orali, e tante opere che continuano ad evidenziare questa pagina nera. Tra i tanti artisti, come Boltanski, Carlo Levi, Aldo Carpi, spiccano i disegni di Marian Kolodziej.
I ricordi di Marian Kolodziej
Il 14 giugno 1940 è stato reso operativo il lager nazista di Auschwitz, in Polonia. Quello stesso giorno entrò nl campo il primo treno carico di deportati. Tra questi troviamo il giovanissimo Marian Kolodziej, che è stato imprigionato e deportato a 19 anni.
È nato il 6 dicembre 1921 a Raszków. Quando è scoppiata la guerra, Marian aveva 18 anni. Da giovane scout, si è unito alle attività della ZWZ Związek Walki Zbrojnej (Unione per la lotta armata), volendo lottare per una Polonia libera. Insieme al suo amico Marian Kajdasz, hanno fatto diversi tentativi di attraversare il confine per raggiungere l’esercito polacco in Occidente. Il 14 maggio 1940 fu arrestato a Cracovia dalla Gestapo e poi imprigionato a Montelupich, da dove fu trasferito alla prigione di Tarnów. Il 14 giugno 1940, arrivò con il primo trasporto ad Auschwitz, dove gli fu dato il numero 432.
Sopravvisse nel campo fino alla fine del 1944, da dove durante l’evacuazione fu trasferito a Gross Rosen, e poi a Buchenwald. Nel febbraio 1945 fu deportato a Mauthausen e liberato il 6 maggio 1945 dalla terza armata del generale Patton.
Dopo la guerra, si è laureato al dipartimento di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Cracovia. Ha partecipato a corsi di grafica e pittura. Dopo la laurea, ha iniziato a lavorare presso il Teatro Wybrzeże a Danzica, dove ha lavorato fino al suo pensionamento. Ha realizzato quasi 200 set per il Wybrzeże Theatre. Ha anche realizzato set per altri teatri in Polonia.
È stato l’ideatore dell’altare papale a Danzica durante i pellegrinaggi di Papa Giovanni Paolo II nel 1987 e nel 1999. Nel 1997 è diventato cittadino onorario della città di Danzica.
1992: l’anno della memoria e dei ricordi
Kolodziej non ha mai parlato della deportazione e dei campi di sterminio, fino al 1992. Nel 1992 ha avuto un’emorragia cerebrale ed è rimasto parzialmente paralizzato.
Paralizzato per metà del corpo, ha iniziato a disegnare come esercizio di fisioterapia ma, soprattutto, per cercare di far convogliare le sue memorie in piccoli segni di matita, gli unici che il fisico gli permetteva, scritti su pezzetti di carta che poi solo in seguito attaccava tutti insieme per comporre un’immagine di senso compiuto.
Fu allora che, dopo quasi cinquant’anni di silenzio, riaffiorarono i drammatici ricordi della sua giovinezza, gli anni trascorsi nei campi di concentramento, realizzando una serie di opere che chiamò Clichés della Memoria. Labirinti.
La mostra è una sconvolgente testimonianza artistica della sofferenza e del degrado dei prigionieri nel campo di Auschwitz. È anche ricerca dell’umanità, della dignità umana, di ciò che ci salva – anche sull’esempio del martirio di S. Maksymilian, l’autore, ci porta attraverso la terra disumana, fa domande, cerca Dio. Come scrisse lui stesso:
Questa non è una mostra, non arte, non quadri, sono parole chiuse in un disegno. L’arte è impotente di fronte a ciò che l’uomo ha preparato per l’uomo. Suggerisco di attraversare il labirinto segnato dalle esperienze della fabbrica della morte.
Le prime opere di questa serie furono presentate al pubblico nell’aprile 1995 nel presbiterio di S. Trinity a Danzica, poi a Essen in Germania e in italiano Bolzano. Dal gennaio 1998 la mostra di Marian Kołodziej Cliché della memoria. Labirinti si trova al piano inferiore della chiesa di Nostra Signora Immacolata a Harmęże vicino a Oświęcim.
Dall’ingresso della mostra fino all’uscita, ci si immerge in una istallazione composta sullo stile di un labirinto, dove le scene non sono sequenziali ma fanno perdere l’orientamento di chi guarda e vive un viaggio nella memoria dell’artista. Con Marian Kolodziej si rivive il viaggio verso Aushwitz, tra foto e disegni che cercano di far immedesimare chi guarda in uno stato di ansia che è solo il preludio di quello che lo aspetta una volta che il treno si fermerà.
Importanti sono le riflessioni di Marian Kolodziej sul mondo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale:
Guardando alla conclusione della mia vita ed, anche, alla conclusione del nostro ventesimo secolo, vedo che, dopo Auschwitz, non solo niente è cambiato sulla terra, ma è addirittura peggio. Le stesse leggi del campo, ancora, governano il mondo. La fabbrica della morte è stata modernizzata, computerizzata… La mostruosa Apocalisse dei miei disegni dura… tuttora.