Il Museo Antonioni di Ferrara, è stato protagonista in questi giorni di una petizione sul sito Change.org dal titolo Reopen the Michelangelo Antonioni Museum in Ferrara. A 14 anni dalla morte del maestro Michelangelo Antonioni e in occasione delle riaperture dei Musei, qualcosa si muove a Ferrara, patria natale del regista.
Museo Antonioni di Ferrara: come nasce?
Il primo nucleo del Museo aprì nel 1995 in Corso Ercole I d’Este, vicino Palazzo dei Diamanti, in occasione dell’Oscar alla carriera e per festeggiare il primo centenario della nascita del cinema. Purtroppo lo spazio era ridotto e i materiali raccolti ancora pochi, principalmente disegni, schizzi e libri e poco materiale cinematografico, quindi nel 2006 venne chiuso. Tuttavia nel 1998 il Comune di Ferrara acquistò il fondo Michelangelo Antonioni composto da oltre 47mila articoli, molti dei quali inediti, riguardanti la vita e le opere del cineasta.
Michelangelo Antonioni morì nel 2007 e da allora nacquero una serie di polemiche sul futuro del Museo Antonioni. Tra l’altro l’edificio versava in condizioni precarie.
Nel 2013 Ferrara Arte dedicò al regista la retrospettiva Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti, una mostra che partì da Ferrara ed ebbe molta diffusione. Da allora si è aperto un silenzio che dura 8 anni.
L’apertura del Museo era stata fissata dal 2022. Ma tale data è destinata ancora a slittare. Il Comune di Ferrara vorrebbe adibire a Museo Palazzo Massari, mentre Enrica Fico, vedova di Michelangelo Antonioni, vorrebbe portare il materiale presso la Palazzina Marfisa D’Este. I fondi sono disponibili per la ristrutturazione di Palazzo Massari che era stato gravemente danneggiato dal sisma del 2012, ma Enrica Fico rivendica la Marfisa, perchè legata ai ricordi di infanzia di Michelangelo Antonioni.
Il Museo Antonioni e il Fondo Michelangelo Antonioni
I materiali della collezione, attualmente in deposito a Palazzo Massari sono composti dall’opera pittorica del maestro: acquerelli, oli, dipinti a tecnica mista, e originali ingrandimenti fotografici di questi, appartenenti per lo più al ciclo delle Montagne Incantate, documentari, film, foto di scena, un ricco archivio attinente ai lavori dell’artista, gli originali delle sceneggiature, la biblioteca e la discoteca, un epistolario intrattenuto con i maggiori protagonisti della vita culturale del secolo scorso: Roland Barthes, Luchino Visconti, Andrei Tarkovsky, Giorgio Morandi e altri.
Nell’attesa di una definitiva collocazione e nella speranza che il Museo Antonioni diventi una realtà concreta e tangibile è possibile consultare on-line il materiale del fondo Michelangelo Antonioni al link https://www.archivioantonioni.it/
Un viaggio affascinante tra le immagini e i ricordi che hanno segnato la sua carriera cinematografica, uno sguardo sul mondo che si nutriva di silenzi emblematici.
“Un poeta del nostro mondo che cambia, un pittore del labirinto delle nostre emozioni, un architetto della nostra ambigua realtà”
Questa citazione di Martin Scorsese apre l’home page del sito dell’Archivio Antonioni. L’archivio si compone di una serie di percorsi tematici. Uno di questi è il deserto, ambientazione tipica delle pellicole del cineasta, basti ad esempio pensare alle significative immagini di Zabrinskie Point. Altro percorso tematico è quello legato all’attrice Monica Vitti, protagonista in L’eclisse, Deserto Rosso e L’Avventura.
Michelangelo Antonioni
Michelangelo Antonioni era figlio di un benestante proprietario terriero di Ferrara, luogo che gli rimase nel cuore e dal quale trasse ispirazione. Fu un grande amante dell’arte figurativa. In particolar modo amava l’opera di Piero della Francesca. Sin da giovane si dedicò a letture impegnative, come l’Ulisse di Joyce, allo studio del violino, alla pratica del disegno.
Esordì come documentarista e nei suoi cortometraggi in bianco e nero focalizzò l’attenzione sulle difficili condizioni di vita dei più poveri e dei meno istruiti della società italiana (Gente del Po; 1943-47, N.U., 1948; Superstizione, 1949).
In seguito Antonioni si dedicò alle contraddizioni e le ipocrisie della società borghese, successivamente studiò all’estero, girò in lingua inglese e si confrontò con i nuovi temi della gioventù legati alla contestazione.
Egli prestò molta attenzione alla fotografia e alla composizione dell’inquadratura. Per Zabriskie Point (1970) e Blow up (1966) si avvale di fotografi del calibro di Bruce Davidson membro della Magnum Photos o David Bailey.
Molto stretto anche il suo rapporto con l’arte contemporanea e con i seguenti autori: Giacomo Balla, Alberto Burri, Campigli, Giorgio De Chirico, De Pisis, Giorgio Morandi, Jackson Pollock, Mark Rothko, Mario Schifano, Mario Sironi, Francesco Somaini, Emilio Vedova.
Caro Icrewer, se apprezzi il cinema di Antonioni, firma la petizione su Chang.org. per riportare all’attenzione la mancanza di un museo per questo prezioso patrimonio.