Stalattiti e stalagmiti espressioni artistiche di madre natura, di per sé già da sole patrimonio inestimabile che all’alba della civiltà umana hanno saputo ispirare la primissima forma d’arte finora conosciuta.
Una casualità che nella narrazione dei fatti coinvolge enormemente soprattutto nel pensare a questa primitiva forma d’arte come punto simbiotico tra uomo e natura, forse mai più neanche sfiorato nella storia dell’umanità.
Ogni approfondimento che si rispetti è sempre suffragato a monte da un progetto serio a supporto di studi ben coordinati ed approfonditi intorno all’argomento che si vuole indagare.
Con queste premesse un recente studio portato avanti da archeologi del team Africa Pitarch Martí, in collaborazione con l’università di Barcellona ha suffragato con evidenza scientifica come di fatto l’espressione artistica impressa su stalattiti e stalagmiti sia opera del nostro antenato Neanderthal e non dell’omo sapiens come tendenzialmente ritenuto finora.
L’approfondimento degli studiosi si è svolto principalmente nella Cueva de Ardales, nella regione spagnola tra Siviglia e Marbella, dove su stalattiti e stalagmiti sono stati rinvenuti degli elementari pigmenti colorati.
Sulle prime non si è gridato alla sensazionale scoperta poiché la semplicità dei tratti e la tipologia di colore lasciavano intendere, visivamente parlando, che potesse trattarsi di un fenomeno naturale, certamente singolare nel suo genere ma verosimilmente del tutto compatibile ad un’espressione della natura, specialmente se si considera il luogo non esposto ad agenti atmosferici esterni.
Ed invece, già da una prima ricognizione il dubbio è stato forte che si trattasse di un’opera d’ingegno.
Gli abitanti che dimorarono nella curva 65.000 anni fa hanno usato pigmenti per colorare le stalattiti
La cueva di Ardales fu scoperta nel lontano 1821 all’indomani di un forte terremoto che ne liberò l’ingresso, dando così la possibilità agli abitanti del luogo di ispezionarne l’interno.
Fin dall’inizio si rivelò un sito davvero interessante poichè vi furono individuate piccole aree con disegni rupestri ma all’epoca nessuno pensò evidentemente di soffermarsi su alcune macchie di colore su alcune stalattiti presenti.
Da due secoli dunque studiosi del settore si stavano interrogando circa la natura di quelle macchie di colore, principalmente rosso, ben visibili sulle svettanti stalattiti.
La quasi interezza delle opere presenti nel sito sono sulle pareti piatte della caverna, dove però c’è una zona di particolare bellezza ed importanza geologica.
Si tratta una serie di stalagmiti e stalattiti molto magnificamente formate, alcune delle quali macchiate di rosso e altri colori presenti in quantità minore. Questa loro presenza è sembrata così singolare tanto da dare il via ad un approfondimento.
Dubbio risolto, sebbene si sia ancora all’inizio dell’approfondimento ma senz’altro nella direzione più giusta, da questo team che grazie ad una seria campionatura del materiale presente nella grotta, ha, attraverso analisi di laboratorio, escluso possa trattarsi di pigmenti naturale.
E’ stata la mano dell’uomo a preparare un primitivo colore con pigmenti cercati per lo scopo, per poi stenderlo certamente con uno scopo spefifico e comunque con intenzionalità.
I materiali che compongono le macchie di colore, più che altro strisce, nulla hanno a che vedere con i minerali presenti nella grotta del ritrovamento, segnale inconfondibile che il colore è certamente stato lavorato in un altro luogo e trasportato in un secondo tempo nella cueva.
Stabilito che trattasi di mano umana, gli studiosi si sono impegnati ed individuare, almeno indicativamente, la mano che ha di fatto avuto l’idea e poi messo in pratica di dipingere, passatemi il termine, le stalattiti.
Sembra non ci siano più dubbi, il Leonardo ante litteram è l’uomo di Neanderthal, che a questo punto, come sommo orgoglio della comunità scientifica, viene insignito della fascia di primo homo con le mani in arte.