Era il 2016 quando sul palco dell’Ariston apparve Ezio Bosso. Il festival della canzone nazional popolare e le persone a casa si fermarono incantati ad assistere all’esibizione di questo incredibile musicista, già visibilmente segnato dalla malattia.
Durante l’intervista con Carlo Conti, disse: «Noi uomini tendiamo a dare per scontate le cose belle, la vita è fatta di dodici stanze: nell’ultima, che non è l’ultima, perché è quella in cui si cambia, ricordiamo la prima. Quando nasciamo non la possiamo ricordare, perché non possiamo ancora ricordare, ma lì la ricordiamo, e siamo pronti a ricominciare e quindi siamo liberi»
Ezio Bosso, quando la passione supera la malattia
Ezio Bosso (Torino 13 settembre 1971-Bologna 15 maggio 2020) si avvicina alla musica verso i 4 anni, grazie a una parente e al fratello musicisti. A 16 anni debutta come solista in Francia e viene chiamato a esibirsi con diverse orchestre europee e in seguito inizia a studiare Contrabbasso e Composizione e direzione d’orchestra all’Accademia di Vienna.
Il suo curriculum è impressionante, direttore stabile e artistico della StradivariFestival Chamber orchestra, numerose collaborazioni con le più importanti orchestre del mondo. Unico italiano invitato al Parlamento Europeo a parlare della situazione della cultura in Europa. Direttore principale ospite dell’Orchestra di Bologna, che ha diretto sia nel teatro cittadino che in Piazza Maggiore, in occasione dell’apertura del G7 Ambiente, portando un totale di 10.000 persone ad assistervi.
Musicista a 360° viene nominato per ben due volte ai David di Donatello per le sue musiche, nel 2004 per Io non ho paura e nel 2015 per Il ragazzo invisibile, ambedue del regista Gabriele Salvatores.
Nel 2011 in seguito all’asportazione di una neoplasia al cervello, gli viene diagnosticata una malattia degenerativa autoimmune, iniziamente scambiata per SLA visto il decorso, ma, passato il primo periodo di sconforto, del quale poi dirà:
“A un certo punto avevo perso tutto, il linguaggio, la musica: la ricordavo, ma non la capivo. Suonavo e piangevo, per mesi non sono riuscito a far nulla. La musica non faceva parte della mia vita, era lontana, non riuscivo ad afferrarla. Ho scoperto così che potevo farne a meno. E non è stato brutto. È stato diverso, è stata un’altra esperienza. Ho imparato che la musica è parte di me, ma non è me.Al massimo, io sono al servizio della musica”
nel 2015 riprende a suonare ed esibirsi, mentre, come ho accennato sopra, nel 2016 la sua toccante esibizione al Festival della canzone Italiana di Sanremo (qui puoi trovare un nostro articolo sull’ultima edizione), condotto da Carlo Conti, lo porta alla ribalta nazional popolare. Il brano che esegue al piano Following the bird commuove tutti, a casa come in platea e persino alcuni membri dell’orchestra.
Anche l’intervista con Carlo Conti è stata un momento molto toccante. Ezio Bosso ci ha regalato alcune frasi che sono entrate nel cuore di tutti, sulla sua partecipazione a Sanremo ha detto: “La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme“. mentre sulla sua disabilità, ha affermato di essere “un uomo con una disabilità evidente in mezzo a tanti uomini con disabilità che non si vedono”.
Gli italiani imparano a conoscere oltre alla sua immensa musica anche la sua incredibile ironia. Il suo scambio di battute con i ragazzacci di Spinoza rimarrà una delle cose più divertenti mai passate su quella pagina e dimostra ancora una volta la libertà della satira (anche noi ne abbiamo parlato sabato scorso se ti ricordi Icrewer).
Il passaggio a Sanremo gli da notorietà a livello nazionale, pubblica un libro dove racconta la sua vita, l’amore per la musica e la sua malattia. L’album The 12th room che contiene il brano che ha presentato a Sanremo è disco d’oro con oltre 50.000 copie vendute.
Sono anni intensi di collaborazioni e concerti con le maggiori orchestre del mondo. A gennaio 2019 partecipa all’evento “Grazie Claudio“, in memoria del Maestro Claudio Abbado in occasione del quinquennale della sua morte, in collaborazione con l’associazione Mozart14, dirigendo sul palco del Teatro Manzoni di Bologna, un’orchestra di 50 elementi provenienti dalla migliori orchestre europee e “cresciuti” con il maestro Abbado. Tra loro ricordiamo Keith Pascoe, Etienne Abelin, Robert Kendall, Jorg Winkler, Luca Franzetti .
La trasmissione “Che storia è la musica” che lo vede in veste di autore, direttore d’orchestra e conduttore, trasmessa a giugno 2019 (e che RaiTre riproporrà stasera per omaggiarlo) ottiene un milione di spettatori di media, rivoluzionando il modo di parlare di musica classica in TV.
Il 15 settembre 2019, alla Fiera del Levante di Bari, come risposta ai fan che gli chiedevano di suonare, dice:
“Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere”
Il 9 aprile scorso pubblica, commosso, sul suo profilo Facebook un video fatto dagli orchestrali della Europe Philharmonic Orchestra da lui fondata, all’epoca un saluto in periodo di lockdown, oggi quasi un tributo alla grandezza del direttore e dell’uomo che è stato.
La sua ultima apparizione televisiva è lo scorso 20 aprile, in collegamento da casa con la trasmissione Propaganda Live, durante il quale, parlando del mondo dell’arte durante la quarantena, ha affermato che:
“La musica e l’arte sono dei comparti produttivi, noi produciamo benessere e coadiuvante sociale. La musica è una terapia, per me anche personale, in questo momento mi manca e non mi sta facendo bene. La musica è una terapia per la società, un accompagnamento a un mondo migliore”
Oggi Ezio Bosso ci ha lasciato, è arrivato nella dodicesima stanza pronto alla sua rinascita, libero come la sua musica che ci appassionerà per l’eternità.