La nostra redazione ha presenziato alla prima di Tieste, presso il Teatro Arcobaleno di Roma. Abbiamo intervistato l’attore Giuseppe Pambieri, che ha interpretato il ruolo del crudele Atreo. E’ stato il secondo attore in Italia ad interpretare questo ruolo, dopo Vittorio Gassman.
Nato a Varese il 18 novembre del 1944, ha cominciato la sua formazione teatrale presso l’Accademia del Piccolo di Milano e ha lavorato con uno dei più grandi registi italiani, Giorgio Strehler.
Attore impeccabile e versatile, ha interpretato vari classici a teatro e ha attraversato con grande professionalità il campo del cinema, del doppiaggio e della televisione.
Ricordiamo tra i suoi spettacoli teatrali L’Arlecchino servitore di due padroni regia di Strehler, il Re Lear nel ruolo di Edmund, sempre per la regia di Strehler. Crea nel 1977-78 insieme alla moglie Lia Tanzi, la compagnia Pambieri- Tanzi e lavora anche con la figlia Micol Pambieri.
Puoi trovare la biografia completa di Pambieri a questo link .
Noi abbiamo ricostruito i suoi ricordi legati agli inizi della sua carriera, il suo rapporto con l’attore Paolo Graziosi, scomparso lo scorso febbraio, l’importanza dei classici, e la sua interpretazione di Atreo. Molto interessanti i suoi programmi per il futuro.
Se ami il teatro non puoi perdere l’occasione di vedere all’opera uno degli attori della nostra grande tradizione. La tradizione teatrale si affida ad una memoria labile, oggi siamo anche aiutati dalla tecnologia, ma riuscire a vedere dal vivo un attore che può tramandare i segreti del mestiere dell’attore è come andare a caccia di perle rare, da conservare nella tua personale valigia.
Giuseppe Pambieri: l’intervista
Il personaggio di Atreo, come l’ha costruito e adattato nel tempo?
Io sono stato il secondo ad interpretarlo in Italia. Il primo è stato Gassman con Annibale Ninchi che interpretava Tieste. L’ho fatto per la prima volta nel 90 a Segesta sotto l’egida dell’Inda, con la regia di Walter Appiano. Quell’edizione era più tradizionale con il coro interpretato da tre coreute.
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Lo scorso anno ho deciso di metterlo in scena con Giuseppe Argirò. E’ un dramma molto poco teatrale nel senso tradizionale. La parola vince su tutto. E’ affascinante questa immersione nel male assoluto, misto tra inganno e potere. La tirannide e la vendetta familiare vi si intrecciano dentro. Devo entrare in scena pensando di essere cattivissimo, altrimenti non mi viene bene. Io sono una persona normale, ma sono sempre stato molto affascinato dai personaggi demoniaci, mi hanno aiutato molto in carriera.
E’ proprio il contrasto con il mio modo di essere e di presentarmi a rendere curiosa la mia performance. Io non ho la faccia del cattivo. Questa è una delle condizioni fondamentali per fare l’attore. Noi abbiamo la “patente” per entrare nella parte di un assassino, di un pazzo, di un poveraccio, di un comico. Abbiamo questa “patente meravigliosa” che ci dà questa professione. E quindi anche scandagliare il male fino in fondo ti aiuta, perché quando ne esci fuori diventa un’esperienza, bella anche per il pubblico. Non c’è catarsi. I due personaggi sono disperati. Tieste perché ha mangiato i figli e non sa come vendicarsi e Atreo perché non è ancora soddisfatto del male che ha compiuto. Atreo rilancia la follia della crudeltà. Il tutto rimane come sospeso, “beckettiano”. Sono come due “monoliti” disperati in scena.
Tra la pandemia e la guerra in Ucraina, la cattiveria sembra essere aumentata
Sì, è vero, c’è un’insofferenza generale in giro che spaventa. Nella scena in cui parlo con il consigliere, metto in evidenza la voglia di vendetta del mio personaggio. Si porta inoltre avanti il discorso della tirannide. Il pubblico deve “volere ciò che non vuole”, quindi la sottomissione assoluta, la mancanza totale di libertà, ovviamente attraverso questa opera era come se Seneca parlasse a Nerone, in una situazione di tirannide assoluta.
Tieste viene dipinto da Seneca come un uomo che ha scelto la bontà, la tranquillità, la serenità della campagna e non vuole il potere. In realtà nel mito, Tieste non è meno crudele di Atreo. Qui Tieste è rivestito dell’ideologia senechiana.
Mi sto chiedendo che risultato possa aver avuto questa opera su Nerone. Si eccitava ancora di più verso il male, oppure capiva che c’era un messaggio sotto che condannava la situazione di reato?
Come è nato il progetto con questo attuale cast? Qual è un ricordo della sua collaborazione con Graziosi?
Io e mia moglie abbiamo visto Graziosi tantissimi anni fa. Era un Mercuzio straordinario nel Giulietta e Romeo di Zeffirelli con Giannini e la Guarnieri. Ci ha folgorato con la sua recitazione straordinaria, straniata, diversa da quello che era il nostro panorama. Tra l’altra è curioso che non abbia lavorato con Strehler. Ci siamo poi incontrati l’estate scorsa. Tra di noi si è instaurato un bellissimo rapporto di amicizia.
La sostituzione è stata ottima, Gianluigi Procacci l’ha affrontata in pochissimo tempo. E’ una persona deliziosa e il risultato è stato buono. A me piace molto la scena finale del tavolo, che rappresenta la quotidianità con questo tavolo lunghissimo che separa i due fratelli “L’un contro l’altro armati”.
Vuole raccontare ai nostri lettori la sua esperienza e la sua formazione al Piccolo di Milano e con Strehler?
Noi allievi stavamo frequentando il secondo anno dell’Accademia del Piccolo di Milano e Strehler ci ha preso tutti quanti per Il gioco dei potenti, tratto dall’Enrico VI di Shakespeare, uno spettacolo megagalattico con 70 attori in scena, compresi noi. C’erano battaglie incredibili, con duelli veri, spade vere del Medioevo e corazze che prendevano dei colpi tremendi e poi venivano portate e ribattute in una sala d’armi per lo spettacolo successivo. Era fenomenale!
E poi c’era il grande fascino di Strehler, allora aveva circa 43/44 anni ed era nel fulgore della sua arte e della sua forza espressiva. Abbiamo imparato e assorbito molto da quei due anni di scuola, perché In teatro si impara veramente tanto sul campo. Lui era affascinante ed era un affabulatore pazzesco e soprattutto capivamo cos’era il teatro, come insegnava agli attori e come si poneva. Noi eravamo trattati malino perché eravamo gli allievi della scuola, dovevamo recitare le morti, ci dovevamo cambiare diverse volte, dovevamo fare un balletto finale tutti vestiti di bianco e “impomatati”, nel quale rappresentavamo “Il gioco dei potenti”.
E mi ricordo un episodio in cui sfiniti, siamo crollati per terra tutti quanti, morti, poi doveva esserci un cambio di scena improvviso, c’era il buio e dovevamo andarcene tutti. E’ venuto il buio e sono andati via tutti, tranne me, perchè son rimasto lì a dormire. Si sente Strehler che urla come un pazzo: “Ma chi è? Chi è quel cretino? Alzati vai via!!!” Chiaramente mi sono svegliato e sono corso via pieno di timidezza. Questo è stato un episodio, ma non ha influito certo sulla mia carriera ovviamente.
Dieci anni dopo Strehler è tornato al Piccolo, dopo la sua esperienza di cooperativa e voleva mettere in scena Re Lear. Io e Lavia siamo stati chiamati per fare i due fratelli Edmund ed Edgar. Edmund il cattivo, Edgar il buono. Strehler mi chiese di fare il provino. Io risposi: “No, io non faccio provini, perchè vengo dalla scuola del Piccolo e non capisco perché devo fare il provino” e lui insisteva: “Guarda che l’ha fatto anche Lavia” e io: “Non mi interessa, Lavia viene da Roma, io ho fatto la scuola qui e non lo faccio.” Morale della favola, alla fine mi ha assegnato la parte di Edmund il cattivo ed era affascinato ed innamorato lui di quel personaggio. Secondo lui non c’era un Riccardo III. Mi ricordo che durante le prove mi esaltava. Io partivo dalla platea con la battuta “Natura, sei tu la mia unica dea!”.
E io cominciavo:
Natura
No
Natura
No
Natura
No
E andava avanti per circa un’ora. Poi attaccavo e saltavo sul palcoscenico e lì se gli piacevo mi eccitava: “Vai, vai così, così, mi piace, avanti, forza! Forza! Bravo, vai avanti così” E questo per l’attore è una grande gioia, sentire che il regista ti approva, ti riconosce, ti dà questa spinta, è bellissimo soprattutto perché si trattava di Strehler, uno dei massimi registi italiani mai apparsi nella storia. Poi lui aveva momenti in cui piombava in un silenzio inquietante ed era chiaro che in quel caso non gli piaceva l’attore e ciò era molto triste per l’attore che stava recitando in quel momento.
Mi ricordo che la sera della prova generale del Re Lear eravamo arrivati alle 3 di notte stravolti. Io e Lavia dovevamo fare questo duello finto di gioco sulle passerelle, ma evidentemente eravamo un po’ spenti dalla stanchezza, lui ad un certo punto si mette ad urlare: “Ma basta!!! Cos’è questa cosa? Vi faccio vedere io!“, salta sulla pedana, prende la spada a Lavia e comincia con me a fare il duello: “Così, così si fa, avanti, così, così!”, poi butta la spada e se ne va in platea tutto eccitato e noi lo guardavamo stravolti: “Ma come fa ad avere tutta questa forza ancora?”
E’ stato un grande regista di poesia teatrale, lui adorava i testi teatrali che faceva e li rispettava fino all’ultimo cercando di tirarne fuori tutto il potenziale teatrale, poetico e letterario.
Nella sua carriera ha interpretato anche altri classici. La cultura umanistica, lo studio del greco e del latino, accompagnato dalla cultura teatrale può ancora influire sulla crescita dei giovani, non solo come intellettuali e attori, ma come cittadini?
Io penso che influisca senz’altro. Io ho fatto studi classici e questi per la professione che ho affrontato mi sono serviti moltissimo. Studiare latino e greco, entrare in quel mondo, cercare di capirne la valenza, la forza, la poesia soprattutto attraverso i grandi classici greci. Allora non c’era la televisione, c’erano i grandi ludi drammaturgici che si svolgevano nei grandi teatri all’aperto, quelli erano i media di allora e si arrivava da tutte le regioni della Grecia per assistere a questi eventi. Era veramente una festa culturale enorme. Aver studiato quei mondi mi è servito parecchio. Nei testi classici non c’è niente di inventato. Il Tieste di Seneca ha ispirato il Tito Andronico di Shakespeare, L’Aulularia di Plauto ha ispirato L’Avaro di Moliere, I Menecmi di Plauto ha ispirato I due gemelli veneziani di Goldoni. Questa opera è ispirata al tema del doppio che Shakespeare ha affrontato nella Commedia degli errori.
Ci parli dei suoi progetti futuri
Io e mia figlia (Micol Pambieri) affronteremo La Terra Promessa di Lacroix, un autore spagnolo che va per la maggiore. L’opera è già stata rappresentata in diverse nazioni. E’ un tema molto importante. La vicenda è ambientata in un tempo futuro, intorno al 2050, ormai l’acqua degli oceani si è alzata, io sono il Presidente della Repubblica di Malvati, un arcipelago che è stato completamente sommerso dall’acqua, meno un’isola dove si sono rifugiati 30.000 superstiti. Vado all’O.N.U. per perorare la mia causa, affinché ci venga offerto un pezzetto di terra da qualche parte e lo faccio vestito da sub. Questo è l’inizio dello spettacolo. Siamo in un clima grottesco, ci sono molti momenti comici, ma anche molto seri, poiché si parla di un argomento terribile, che è quello che probabilmente (speriamo di no), ci aspetta tra pochi anni, se andiamo avanti così. Il finale è molto bello poichè si ritorna alla mitologia di Malvati e attraverso la mitologia si passa poi al pensiero di un pianeta immerso nelle stelle, lontano, perchè gli astrofisici da anni stanno cercando di rintracciare dei pianeti, in altre galassie, che abbiano le stesse condizioni della terra, pressappoco la stessa grandezza della Terra, la stessa possibilità di vita e questo è affascinante. Finisce con questa proiezione nel futuro molto affascinante dal mito del pescatore di Malvati che ha portato alla creazione di queste isole attraverso un discorso poetico. Un argomento simile viene trattato nel film Interstellar. Si passa poi alla visione di un pianeta che potrebbe essere uno sbocco futuro. Lo presenteremo a Borgio Verezzi.
Dovremmo riprendere anche Nota stonata, un testo sulla Shoah con il quale abbiamo debuttato a Borgio Verezzi due anni fa, l’abbiamo poi rappresentato pochissimo a causa del Covid. Adesso lo faremo al Teatro Vittoria di Roma. Il testo ha due personaggi soltanto, ma pieno di colpi di scena e con un doppio, triplo finale e aggancia il pubblico in un modo speciale. Abbiamo avuto delle standing ovation, l’argomento ebraico comunque emoziona sempre.
A metà febbraio dovrò fare uno spettacolo sull’ultimo romanzo di Sciascia, dal titolo Una storia semplice una produzione dello Stabile di Catania, col teatro Vittoria di Roma. Lì dovrei fare il ruolo che fece nel film Gianmaria Volontè, ossia l’amico della persona che è stata uccisa nel giallo.
Dovrà anche uscire un film horror dal titolo L’orafo che ho girato l’anno scorso verso settembre-ottobre. Io e Stefania Casini interpretiamo due anziani pensionati che vengono assaliti da una banda di ragazzi che con una rapina a mano armata vogliono depredarli e li buttano giù dal letto, ma in realtà si ribalta tutto e i cattivi diventano i due “vecchietti”.
Per la redazione di Arte.icrewplay.com è onorata di aver parlato con un attore del calibro di Giuseppe Pambieri e lo ringrazia della sua disponibilità e per le sue preziose testimonianze.