La parola agli artisti: Andrea de Goyzueta, tra il teatro e l'Asilo
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La parola agli artisti: Andrea De Goyzueta

Gli artisti: tra pandemia, logica capitalistica e bisogno di socialità, in una chiacchierata con l'attore e produttore teatrale Andrea de Goyzueta

Il malcontento nel mondo dello spettacolo non accenna a scemare e sempre più voci autorevoli si fanno avanti per dire la loro.
Abbiamo chiesto ad un professionista, la cui umiltà e puntualità con cui snocciola argomentazioni ricche di contenuti ha destato in noi profonda ammirazione, di buttare giù alcune considerazioni in merito all’attuale crisi, facendo riferimento alla sua situazione personale.
Attore in prosa e produttore teatrale dal 2001, nonché attivista dell’Ex Asilo Filangieri e membro dell’Osservatorio dei Beni Comuni della città di Napoli: Andrea de Goyzueta.

Chi è Andrea de Goyzueta 

Artista prolifico e appassionato, nel 1999 è allievo dei registi Umberto Serra e Carlo Cerciello, direttori del Laboratorio Teatrale Permanente del Teatro Elicantropo di Napoli.
È proprio negli spettacoli di Cerciello che de Goyzueta recita a partire dal 2002, ricevendo il plauso del pubblico e della critica: Il Cielo di Palestina, Stanza 101 (vincitore del Premio Speciale UBU e del Premio Girulà 2002), Noccioline (Premio Annibale Ruccello al cast nel 2006), Boom boom Bush, Girotondo e Office.
Intanto, il suo percorso di studio e perfezionamento continua: è allievo presso la Scuola Internazionale di Commedia dell’Arte, diretta da Antonio Fava, e a seguire prende parte al Progetto Interregionale di Alta Formazione organizzato dal Teatro Nuovo di Napoli, con gli attori Nicole Keherberger, Armando Punzo, Cesar Brie, Letizia Russo, Francesca Della Monica, Pier Paolo Sepe e Davide Iodice.
Nel 2004 fonda, insieme agli attori Fabio Rossi ed Elena Cepollaro, l’Associazione Culturale “Tourbillon Teatro“, con cui cura, produce e autoproduce molti progetti artistici e culturali indipendenti.
Interpreta inoltre il giacobino Nicola Fasulo nel film Il resto di niente, regia di Antonietta de Lillo.
Dal 2005 recita negli spettacoli di Claudio di Palma, tra cui ricordiamo Io sono Crispì e Ferito a morte, e nel contempo inizia la sua collaborazione con la compagnia Vesuvioteatro.
Sempre nel 2005, avvia un lunghissimo progetto lavorativo e di crescita personale con il regista Pino Carbone. Da questa collaborazione nascono spettacoli come Una prigione di velluto rosso, Dante Cappelletti, Il cattivo seme, King, Mangiatene Tutti, Fabula Rasa, Fabula Rasa, Il re muore, Agamennone, da Eschilio a Pasolini L’armata dei sonnambuli. 
Dal 2008 fa parte della società di produzione riconosciuta dal MIBAC Ente Teatro Cronaca, fondata a Napoli da Mirco Galdieri, e produce spettacoli con Erri De Luca, Marina Confalone e Peppe Barra.
Cura la produzione del Concerto di Natale di Roberto De Simone, autore della Gatta Cenerentola: una grande emozione per lui, ritrovatosi faccia a faccia con il regista che lo ha fatto innamorare del teatro, quando aveva diciotto anni.
Nel 2012 riceve il premio Domenico Rea: come riconoscimento per i meritevoli anni di impegno teatrale e culturale e incoraggiamento per la prosecuzione della carriera.
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Andrea de Goyzueta in Miseria e Nobiltà, con Lello Arena

Intervista ad Andrea de Goyzueta

Benvenuto e grazie per quest’intervista! Raccontaci: quali sono i tuoi progetti attuali? 
Progettualità prevalentemente teatrali: in tournée nazionale con gli spettacoli Miseria e Nobiltà e Parenti Serpenti, con Lello Arena per la regia di Luciano Melchionna, Lo spettacolo Casting per un film sul Woyzeck scritto da Maurizio Braucci per la regia di Annalisa D’Amato, e lo spettacolo Sfratto Celeste di Sara Sole Notarbartolo.

Quali sono le risorse che investi ogni giorno nel tuo mestiere? Parliamo del tuo tempo, delle tue risorse personali e intellettuali…

Il mio mestiere mi prende tantissimo tempo: dalle prove alle recite che mi portano a viaggiare per almeno 4 mesi l’anno. Ma è uno di quei lavori con cui si convive in ogni momento della giornata, è qualcosa che non ti molla mai.

Nei momenti di “pausa” dagli spettacoli, il tempo è investito nell’immaginare nuovi progetti, nel programmare nuova attività, nel cercare nuovo lavoro (eventuali provini e audizioni), nello studio di testi libri, immagini, negli incontri con i colleghi, nell’andare a vedere teatro, mostre, cinema, nel seguire gruppi e compagnie anche più giovani. Poi c’è il tempo dedicato  all’attivismo che tante volte diventa anche sperimentazione pratica di nuove politiche culturali, con il sostegno ad azioni di spazi culturali e sociali, con la partecipazione alla vita dei beni comuni, dalle riflessioni più teoriche e alla preparazione di iniziative pubbliche.

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Andrea de Goyzueta in Caipirinha, Caipirinha!

 

In che modo la tua attività artistica ha influenzato e influenza ancora oggi la tua vita? 

L’attività artistica ha influenzato completamente la mia vita: i percorsi creativi e di ricerca artistica quando toccano livelli qualitativi importanti sono in grado di creare veri e propri processi di emancipazione individuale e collettiva.
Senza che l’artista smarrisca la propria storia e perda la forza delle proprie radici, qualunque esse siano, i processi creativi, soprattutto quando sono lunghi e portati avanti con una certa costanza, aiutano nell’emancipazione dai propri background quando questi rischiano di essere dei limiti e delle gabbie, proiettano le persone nel mondo e creano una dinamica di messa in discussione continua e quindi di crescita.
Nel mio caso ho fatto un percorso di ricerca permanente, creando un gruppo teatrale, per più di 10 anni costruendo spettacoli intesi come tappe di un unico cammino di crescita artistica e umana.
Altro elemento fondamentale della mia attività artistica è quella di farmi relazionare costantemente con altri esseri umani, che siano tanto gli altri artisti, tanto il pubblico; il teatro è l’arte collettiva per eccellenza, è quel meccanismo per cui la congiunzione e la confluenza tra persone hanno la possibilità di generare risultati estetici ed emotivi assolutamente dirompenti.
E poi c’è il ragionamento permanente sulla comunicazione con il pubblico e le sperimentazioni legate al coinvolgimento e alla sensibilizzazione delle persone e della società che ci circonda.
Quello che può essere un aspetto negativo è che l’artista deve costantemente reinventarsi al punto da partire sempre da zero, un elemento che facilmente può creare effetti destabilizzanti. Buona parte del tempo di un artista rischia di essere impiegato nella ricerca di un lavoro che offre ogni anno sempre meno opportunità, generando anche condizioni psicologiche di estrema debolezza e difficoltà.
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Andrea de Goyzueta in Caipirinha, Caipirinha!
Sacrifici enormi, quindi… e, perdona la domanda un po’ impertinente: sono commisurati alla tua retribuzione?

Sono un artista di 44 anni, solo dopo quasi 20 anni di attività posso dire che la retribuzione comincia ad essere commisurata ai miei sacrifici, tenendo conto che stiamo sempre parlando di un lavoro discontinuo e intermittente che oggi c’è e domani potrebbe non esserci.

All’inizio, soprattutto per chi si lancia nella attività artistica sperimentale indipendente, la dinamica dell’investimento personale in termini di tempo speso, sacrifici e lavoro gratuito è una costante; per i primi anni e anche molto più, le occasioni di retribuzione sono sempre sporadiche e mai ben commisurate agli sforzi e al tempo di lavoro.

Un elemento che per me è stato fondamentale nel sopravvivere in questo contesto lavorativo tanto precario e mal retribuito, è stato quello di differenziare il mio lavoro teatrale, lavorando tanto anche nella produzione e soprattutto nell’organizzazione di eventi, che attivano dinamiche lavorative più tradizionali anche dal punto di vista dei compensi economici.

La costanza è fondamentale in questo lavoro, così come l’acquisizione di esperienza (è necessario per questo avere una cura particolare per i giovani) e una propensione piuttosto elevata al rischio mi hanno aiutato, fino ad oggi, a raggiungere standard di retribuzione quantomeno accettabili ai sacrifici investiti e alla contribuzione del mantenimento di una famiglia.

Se ti dicessimo cose come “contratto, stipendio, assicurazione contro gli infortuni sul lavoro”, cosa ci risponderesti?

Con compagnie e teatri riconosciuti dal Ministero, negli spettacoli “di giro” e per le tournée il lavoro è generalmente contrattualizzato, vengono versati contributi sia per le prove che per le recite, con assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, e si percepisce retribuzione giornaliera; i miei sono contratti da lavoratore subordinato a tempo determinato.
Il problema è quando lavoriamo da indipendenti per cui è praticamente impossibile riconoscerci retribuzioni adeguate per tutto il tempo di lavoro.
Il teatro indipendente vive da sempre una situazione di precarietà e di mancanza di sostegni, ad oggi non c’è nessuna legislazione che faciliti e tuteli l’autoproduzione, che è l’ossatura e la parte più viva del teatro d’arte italiano.
La parola agli artisti: Andrea de Goyzueta, tra il teatro e l'Asilo
Andrea de Goyzueta in Squalificati

 

In che modo la pandemia ha complicato la tua già complicatissima vita lavorativa?

Il 4 marzo 2020, nel momento in cui il premier Conte annunciava il lockdown, ero in Friuli in una tournée che avrebbe dovuto continuare fino a metà Aprile: ho perso almeno 40 giorni di lavoro, un terzo delle recite che faccio ogni anno.
Il 20 Ottobre 2020 avrebbe dovuto cominciare la mia nuova stagione teatrale con date anche all’estero. 6 mesi di lavoro annullati (per ora 3 sicuri e gli 3 fortemente rimaneggiati e a rischio).
Nel mese di Settembre 2020 avevamo preparato un lavoro a 2 attori con possibilità di distribuzione anche in caso di restrizioni di pubblico nei teatri e di necessario distanziamento tra attori su palco: lo spettacolo non è riuscito ad andare in scena per cause di forza maggiore (allerta meteo, era all’aperto) e poi per ulteriori restrizioni per la emergenza sanitaria.
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L’armata dei sonnambuli

Aiuti da parte dello Stato?

Per ora ho ricevuto come lavoratore dello spettacolo 3 bonus da parte del governo di 600 euro per i mesi di Marzo, Aprile e Maggio per un totale di 1800 euro (circa un quarto della perdita dovuta al primo lockdown), e ho ricevuto un paio di mensilità di NASPI da parte dell’INPS, che ricevo regolarmente come indennità di disoccupazione quando termino il periodo di lavoro.
Sono previsti altri 2 bonus di 1000 euro l’uno, per il mese di Agosto e per il Decreto Ristori sempre dal governo da ricevere verosimilmente a metà novembre. Per quanto riguarda il sostegno da parte della Regione Campania è ancora in fase di studio la possibilità di un bonus di circa 1000 euro.
Per le imprese riconosciute dal MIBAC e che quindi ricevono un finanziamento economico ministeriale, viene riconosciuto l’80% del finanziamento dell’anno prima senza necessariamente rispettare i parametri quantitativi e qualitativi richiesti solitamente per ottenere questo finanziamento. In pratica possono riceverlo senza fare necessariamente attività.

 

Dopo il dpcm del 24 Ottobre 2020, che ha determinato la chiusura di cinema e teatri, ci sono state innumerevoli proteste e denunce. Di queste ultime, vorremmo porne una in particolare alla tua attenzione: la lettera di denuncia dell’associazione Attrici e Attori Uniti. 

Segnaliamo l’emergenza di esserci ritrovati improvvisamente senza lavoro e senza reddito, ma, a differenza di altri, in un Settore già colpevolmente privo di tutele.
Inoltre, siamo stati i primi a fermarci e saremo tra gli ultimi a poter ricominciare.

Con queste premesse,

DENUNCIAMO

– che le interruzioni dei contratti sono avvenute senza il rispetto delle leggi sui licenziamenti;

Posso riportare la testimonianza che riguarda il mio caso in quel determinato momento, in cui il mio contratto è stato interrotto per cause di forza maggiore prevedendo, come da contratto nazionale, il rimborso di 12 giornate lavorative.

Sulla questione generale andrebbe approfondito il discorso.

– che molte imprese si appellano all’emergenza per non onorare i contratti stipulati, con i singoli lavoratori o con le compagnie, relativi a lavori regolarmente svolti prima dell’emergenza sanitaria stessa;

Io sono stato retribuito fino al 4 Marzo (ultimo giorno di recita), prevedendo, come detto sopra, una sorta di bonus di 12 giornate lavorative in più come rimborso per le giornate perse.

Le giornate lavorative previste dopo il lockdown sono state annullate per causa di forza maggiore

– che una larga parte di lavoratori è rimasta esclusa dalle tutele del DL18 e DL 23, a conferma del fatto che l’apparato legislativo non è adeguato alle numerose specificità della nostra categoria;

È vero: il primo bonus era diretto ai lavoratori che avevano maturato 30 giornate lavorative, mentre il secondo bonus ai lavoratori che avevano maturato 7 giornate lavorative (quota davvero inclusiva).
Tutti gli artisti costretti a lavorare a nero (sono tanti) sono stati esclusi.

– che gli emendamenti proposti in difesa delle lavoratrici e lavoratori dello spettacolo sono stati bocciati;

Su questo la trattativa è ancora aperta, anche se il governo non sembra recepire la vertenza più importante: quella di riconoscere un reddito che garantisca la specificità del lavoro intermittente, come avviene nel resto d’Europa.

– che misure come il Fis o la Cassa in Deroga, senza possibilità di integrazione, non tengono conto dei rapporti lavorativi regolati da contratti di intermittenza e della situazione di precarietà dei lavoratori dello spettacolo;

È probabile. Aggiungo che va trovata una misura più adeguata della cassa integrazione, che probabilmente è una forma di tutela poco organica alla natura del lavoro intermittente e alla specificità dei lavoratori dello spettacolo.

– che non ci sono tutele, né garanzie, per tutti quei lavoratori impegnati in produzioni e progetti con data di inizio posteriore al 17 marzo, e che rimarranno sospesi per un tempo indeterminato;

È vero! Qualora per uno spettacolo previsto ad esempio a Novembre 2020 che salta causa Dpcm in cui si chiudono i teatri, il lavoratore coinvolto rimane senza lavoro, senza tutele e senza rimborso.
L’unica tutela rimane lo sporadico bonus del governo, che continua a non prevedere un piano di sostegno continuativo.

– che l’interruzione dell’attività di insegnamento (nel pubblico e nel privato) ha eliminato un’importante fonte di reddito per le formatrici e i formatori, oltre ad aver sospeso il percorso di studi di numerosi futuri giovani lavoratori.

Formatori e formatrici, oltre ad aver perso il loro lavoro, rischiano di non rientrare neanche in quei pochi bonus: perché le loro prestazioni non vengono calcolate sulla base della “giornata lavorativa”, necessaria per rientrare nei criteri di accesso al sostegno.

Andrea de Goyzueta
Andrea de Goyzueta in L’armata dei Sonnambuli

Sempre nella lettera, sono state fatte delle richieste specifiche. C’è altro che aggiungeresti?

D’accordo sulle proposte. A queste proverei ad aggiungere un ragionamento anche sul lungo periodo, prevedendo una grande riforma di sistema.
Innanzitutto non ci si può limitare a un ragionamento che riguardi solo il ministero della cultura ma, come è venuto fuori dalle proposte elaborate dalle tante piattaforme di artisti e lavorat*, deve cominciare a riguardare anche altri ambiti ministeriali, come l’istruzione (scuola e università), lavoro, welfare, se la cultura vuole davvero invadere i diversi strati della società e diventare protagonista per la ripresa del paese dopo la grande crisi economica e pandemica.

Ma, al di là di qualunque ragionamento, il primo grande punto di partenza da cui non si scappa è che l’investimento pubblico alla cultura, nello specifico allo spettacolo dal vivo, andrebbe almeno triplicato per adeguarsi agli standard minimi del resto d’Europa.

Da qui poi si possono e si devono moltiplicare e diversificare le opportunità e le possibilità: dall’aumento di un fondo per le strutture ordinarie (o almeno dalla riduzione degli oneri e dei parametri, visto che ad oggi il Fondo Unico dello Spettacolo FUS è più paragonabile a un mutuo più che a un sostegno), alla creazione di un fondo di finanziamento a progetto per le compagnie indipendenti, affinché possano svilupparsi autonomamente e possano autodeterminare il loro destino artistico.

E ancora la creazione di programmi per la formazione, per le scuole e per le università.

Per non dimenticare il sostegno alla distribuzione per sostenere gli spazi di prossimità territoriali, i teatri più piccoli, che sono spesso punti di riferimento delle tantissime comunità, per riattivare il giro e le tournée dei progetti di alta qualità, che sono esclusi dal mercato perché non prettamente commerciali, o di natura poco inclini ai grandi numeri.

Il primo e più urgente intervento è quello di creare un reddito di intermittenza o discontinuità che riconosca la specificità del lavoratore dello spettacolo, dell’arte e della cultura, garantendo una continuità di reddito anche nei momenti di non lavoro.

Non è una misura assistenziale, ma un intervento che garantisce un diritto fondamentale per un mestiere che contribuisce alla crescita civile, culturale e anche economica del paese.

Il reddito verrebbe corrisposto in base alle giornate lavorative maturate l’anno o gli anni precedenti. Uno dei modelli a cui molte piattaforme e movimenti di lotta fanno riferimento è quello francese.

Andrea de Goyzueta
Andrea de Goyzueta in L’armata dei Sonnambuli

Durante il servizio di Rai News 24, Giuseppe Micciarelli si è fatto portavoce dell’Assemblea dell’Asilo parlando di “reddito di creatività” e “reddito di cura”: puoi dirci qualcosa di più a riguardo?

Nel mese di Maggio con l’Asilo abbiamo partecipato al progetto europeo Cultural Creative Space and Cities.
Abbiamo ragionato sulla sostenibilità economica di spazi a uso civico come l’Asilo, che attrae e si alimenta da sempre di una platea non identificabile in un gruppo chiuso, ma in una comunità potenzialmente illimitata di abitanti (questa è la differenza tra una comunità aperta, come quella dei beni comuni, che cura l’uso civico di un bene comune, e un gruppo o “collettivo” chiuso e riconoscibile che rientra tra gli associati di un’associazione culturale o di una cooperativa o di un’impresa sociale).
Da qui il ragionamento si è allargato alla necessità di un reddito universale e di un reddito di creatività inteso invece come sostegno specificatamente legato al lavoro culturale e di ricerca; con questo immaginiamo la creazione di un sostegno al reddito individuale “a preventivo” e non “a consuntivo”, dove l’artista o il ricercatore può sperimentare anche progettualità inedite non necessariamente legate a criteri di monetarizzazione.
Il reddito di creatività è inteso come possibile finanziamento alla cultura radicalmente democratico, perché destinato ai singoli lavoratori per progetti di ricerca o a vocazione sociale.

Tornando alla situazione Covid: l’Agenzia Ansa ha dichiarato di essere pronta ad ospitare spettacoli teatrali ed eventi culturali sulle sue piattaforme online, come riportato nell’articolo del 28 Ottobre. Credi sia una buona soluzione?

Credo che questa possa essere una possibilità, e anche un’opportunità creativa. All’Asilo abbiamo trasformato una possibile piattaforma online in una vera e propria opera collettiva multimediale, che ha aperto nuove possibilità di incontro e di scambio e di composizione multidisciplinare (vedi la Tela).
Tuttavia credo che questa non possa essere assolutamente una soluzione. Lo spettacolo è dal vivo e si nutre di rapporti diretti.
L'Ex Asilo Filangieri tesse la Tela di aggregazione e interazione socio-artistico-culturale | Roma
Ex Asilo Filangieri, dettaglio della Tela

Con il Dpcm del 3 Novembre, sono stati chiusi anche musei e mostre. Come dichiarato da Franceschini il 25 Ottobre, simili misure vengono adottate per ridurre la mobilità dei cittadini. Cosa ne pensi? 

I dati Covid relativi al teatri e ai musei hanno mostrato un rischio di contagio bassissimo. Molti centri culturali hanno fatto grandi investimenti per svolgere la propria attività in assoluta sicurezza, per cui la chiusura è stata una doppia beffa.

Da un lato credo che in un momento così duro, dal punto di vista della tenuta psicologica delle persone, portate a vivere in uno stato di paura e di senso di colpa, gli spazi che producono arte e cultura, bellezza e capacità critica e di pensiero, nonché le scuole, debbano funzionare alla stregua degli ospedali.

Dall’altro lato credo fermamente che anche se i teatri e i musei restassero aperti, le istituzioni non potrebbero sottrarsi a riconoscere uno stato d’emergenza dei luoghi e dei lavoratori culturali: le necessarie restrizioni Covid (numero limitato di pubblico, distanziamento ecc.) comportano gravi perdite e riducono notevolmente le possibilità lavorative.

È per questo che all’annuncio della riapertura dei teatri del 15 Giugno 2020, il movimento dei lavoratori dello spettacolo ha parlato di “falsa ripartenza”.

Quanto tempo pensi che impiegherà il settore dell’arte a risollevarsi, dopo questa battuta d’arresto?

Più passano i mesi e più cresce la consapevolezza che per tornare a una condizione di normalità, quella per cui i teatri possano ritornare a riempirsi, condizione necessaria per poter tentare di sopravvivere, la pandemia dovrà essere definitivamente sconfitta.

Sappiamo bene che si tratta di una possibilità ancora troppo remota e piena di incertezze. Si è consapevoli tra i lavoratori del comparto artistico di essere in un tunnel ancora molto lungo e di cui si fa fatica a intravedere la luce dell’uscita.

Io credo che solo con un vaccino o con l’evoluzione di una cura adeguata capace di contrastare gli effetti nefasti del contagio per Covid si possa cominciare a immaginare una vera ripresa. Sicuramente la stagione 2020/2021 è saltata, la speranza è che si possa ricominciare almeno nella seconda parte della stagione 2021/2022.

Una speranza che comporta comunque uno stravolgimento radicale nell’ambito del lavoro culturale, perché difficilmente i lavoratori riusciranno a resistere tutto questo tempo senza possibilità di svolgere il proprio mestiere, a meno che lo Stato non preveda un sostegno continuativo per tutto il tempo di questa emergenza.

La maggior parte dei lavoratori sarà costretta a trovare altri impieghi e quindi ad abbandonare il mondo dell’arte e della cultura se non viene subito approvato un REDDITO D’EMERGENZA fino alla fine della pandemia. Questo comporterà un radicale impoverimento culturale del paese e uno squilibrio sociale di grandi proporzioni.
La cultura è fondamentale per la crescita umana e per la costruzione di senso di comunità. Rischiamo di vivere un’epoca di disgregazione senza precedenti, la crescita di una cultura dell’individualismo e della diffidenza.
Oggi più che mai, in un momento in cui le persone sono bombardate da messaggi di paura, di ricerca costante di un colpevole, da distinzioni valoriali fondate esclusivamente su criteri di monetarizzazione e di produttività economica, è necessario contrapporre un’attitudine alla critica, al ragionamento complesso, alla cura delle relazioni e un allenamento a una percezione sensoriale differenziata.
L’arte e la cultura rompono muri e aiutano a superare limiti, a rifuggire dalle facili emozioni e a guardare al di là delle apparenze. Il paese ad oggi, è senza anticorpi culturali che possano contrastare il virus dell’ignoranza, della paura e dell’ipocrisia.
Tuttavia c’è una speranza: che il mondo dell’arte e della cultura continui a portare avanti il processo di ricomposizione e di lotta che è riuscito, mai come in questi mesi, a creare con la nascita di tante piattaforme di lavoratori e lavoratrici.
Che riesca a resistere e nello stesso tempo a far crescere dentro di sé una consapevolezza di classe in grado di arrivare a una grande riforma del settore che faccia uscire il mondo del lavoro e della produzione culturale da una condizione preistorica.
Una delle maggiori consapevolezze del mondo della cultura è che “indietro non si torna”: vale a dire che le condizioni di prima della pandemia non possono essere accettate come la normalità, e questo momento di crisi debba essere un’occasione per raggiungere livelli minimi di civiltà e di dignità.
E’ importante sottolineare che tutto questo non può essere considerato esclusivamente come la vertenza specifica di un singolo settore, ma come una battaglia di civiltà di tutto un paese.
La parola agli artisti: Andrea de Goyzueta, tra il teatro e l'Asilo
Ex Asilo Filangieri

 

Alla fine dell’articolo a voi dedicato, “Covid-19: artisti italiani senza tutele. L’Ex Asilo Filangieri propone un reddito di creatività”, ci sono alcune conclusioni. 

Pare proprio che nel paese, che detiene i due terzi del patrimonio artistico mondiale, l’arte sia considerata un’attività “ricreativa”: qualcosa di leggero ed estemporaneo con cui “allietarsi” quando abbiamo un po’ di tempo libero.

Concezione che estendiamo anche all’artista stesso, che viene svestito della sua professionalità e del suo diritto ad essere persino retribuito per l’attività che svolge.

Tale visione è ulteriormente distorta dalla dualità sorta in seno a questo mondo – sempre per motivi culturali – che vede da una parte i progetti portati avanti da professionisti del settore e quelli messi in piedi a scopo amatoriale, spesso gratis.

Quindi, i prodotti artistici di cui abbiamo beneficiato durante il lockdown saranno sembrati ai più non un gradito regalo – giacché spesso gratuiti – da parte di una categoria di lavoratori autonomi, ma qualcosa di dovuto.

Alla luce di ciò: se la figura dell’artista non è adeguatamente valorizzata nel nostro paese, forse la colpa è soltanto delle istituzioni, ma anche nostra. Perché, ricordiamo: le istituzioni sono formate pur sempre da italiani, facenti parte della nostra stessa società.

Che sensazioni suscitano in te queste parole? 

Sono d’accordo nel ritenere che l’arretramento delle istituzioni è consequenziale a un abbrutimento del paese e dei suoi cittadini, sempre più abituati ad avere un ruolo passivo e per lo più lamentoso, e a considerare inutile la cultura.

Siamo d’altronde il paese che ha avuto negli ultimi 30 anni uno sviluppo perlopiù televisivo, una crescita fondata sulla mitizzazione dell’intrattenimento, con ampie parti del settore artistico e culturale che hanno preferito rincorrere ed adeguarsi a quel linguaggio e a quei contenuti anziché contrastarli.

La grande offensiva del capitalismo, che negli ultimi 30 anni ha potuto correre incontrastato, ha imposto, per citare Mark Fischer, una dittatura del realismo (capitalista appunto) per cui i suoi valori (quelli del capitale) diventano anche i valori dell’esistenza umana, valori tutti concentrati nella vorticosa economia del tempo la cui essenza riposa nella velocità del consumo e della produzione.

Un realismo che impone al mondo una consapevolezza (sbagliata) che non ci possa essere alternativa a questa possibilità (“È davvero più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo?”).

Non è un caso che anche la nostra politica si sia adeguata completamente a questo mantra: dalla destra alla sinistra si è passati dagli slogan come “con la cultura non si mangia” a quelli per cui “la cultura deve camminare con le sue gambe“, una retorica forse ancora più pericolosa della prima perché relega il settore culturale a un ruolo di marginalità e subalternità, ad adeguarsi alla logica commerciale e ad abbandonare qualunque possibilità di approfondimento.

Il ruolo degli artisti è oggi più che mai quello di decolonizzare i sogni da questa gabbia e da questo odioso conformismo e ritornare a guardare “al cosmo, allo smisurato, al magnifico”.

La parola agli artisti: Andrea de Goyzueta, tra il teatro e l'Asilo
Ex Asilo Filangieri

Ultima domanda, forse la più importante: secondo te, in che modo si potrebbero educare i cittadini a comprendere tale grandissimo valore di cui si fa portatrice l’arte? 

Bisognerebbe innanzitutto uscire da una logica colonizzatrice dell’arte e della cultura, per cui le politiche culturali vengono imposte dall’alto in una dinamica che rischia costantemente l’autoreferenzialità.

Il compito, sempre più chiaro a molti, degli artisti e degli operatori culturali non è quello di ampliare la “clientela” del pubblico in un’ottica del consumo, ma di favorire l’autodeterminazione di un pubblico critico e quanto più consapevole.

Per quanto mi riguarda una delle sperimentazioni più interessanti rispetto alla formazione della cittadinanza attraverso l’arte e la cultura è quella dei beni comuni. L’Asilo in particolare in questi anni ha generato interesse, nuovo attivismo, senso di responsabilità, la gioia di partecipare, di collaborare e di lavorare insieme.

Ha dato la possibilità a chiunque di poter sperimentare non solo processi creativi e artistici, ma anche aggregazioni civiche e progetti di solidarietà. La sua natura informale, le sue porte sempre aperte a tutte le ore e il fatto di lasciare libertà assoluta alle proposte ha liberato talenti nascosti e energie sopite negli anni da concezioni passive della vita politica.

In che modo? Io credo innanzitutto per la sua origine: il fatto di nascere da un momento conflittuale, da un gesto di rottura, l’occupazione, aggregata alla capacità di costruire una reale auto organizzazione orizzontale, in grado di portare avanti sperimentazioni e rivendicazioni su più livelli (politiche, artistiche, culturali, giuridiche, sociali) ha creato un senso di fiducia collettiva in grado di combattere contro l’impotenza a cui la cultura della delega ha condannato negli anni buona parte della cittadinanza (soprattutto quella delle nuove generazioni).

Si tratta di una gestione collettiva di un bene pubblico che non ha filtri: tutti possono parteciparvi in prima persona, tutti possono proporre, tutti possono sentirsi protagonisti di qualcosa che negli anni è diventato un punto di riferimento in tanti campi dell’arte e del sapere.

Questa caratteristica ha generato affezione e affettività, ha prodotto idee e voglia di fare, ha stimolato all’approfondimento e al rispetto reciproco, ha formato nuovi appassionati di teatro, di cinema, di arte, di letteratura, di filosofia, di diritto.

Inoltre, il carattere multidisciplinare del processo dell’Asilo è stato da subito una novità in città e ha mostrato quali dinamiche moltiplicatrici possa generare l’intreccio e la connessione degli interessi particolari, dei diversi pubblici e dei diversi modi di intendere la cittadinanza attiva.

Per fare un esempio: chi entra per un’attività sociale, può scoprire un interesse per il concerto di musica che contemporaneamente si tiene in un’altra sala, o soffermarsi a una presentazione di un libro che in quel momento si sta svolgendo in una sala dove sono esposte le opere di un’artista in residenza, e così via.

Uno dei motori che contribuisce ad alimentare tali convergenze è la dimensione della socialità, che facilita l’avvicinamento delle persone all’arte. La dimensione del centro culturale, del museo o del teatro monotematico in cui si entra solo ed esclusivamente per fruire di uno spettacolo, rischia di avere un effetto respingente.

Ovviamente non mi illudo che un centro di arte e di cultura improntato sulle caratteristiche del bene comune di cui ho parlato, seppur capace di accogliere un numero altissimo di fruitori e partecipanti in un anno, sia in grado di condizionare le masse come potrebbe farlo la televisione o il web, per i quali si dovrebbe tentare di fare un discorso a parte, provando ad utilizzarne le potenzialità per promuovere in maniera virtuosa e meno sbrigativa la bellezza e il senso del sublime che l’arte e la cultura producono.

Però sono convinto che le sperimentazioni dei beni comuni possano aprire nuovi sentieri e possano suggerire delle modalità diverse di approccio e di gestione dei teatri e dei centri culturali, anche istituzionali.

A Napoli ad esempio è importante citare i casi del MANN Museo Archeologico di Napoli, che pur conservando la sua natura museale è diventato un attrattore culturale dedicandosi alla connessione di arti e saperi diversi, alla produzione artistica, alla ricerca, alla cura della socialità (ha ospitato finanche momenti dedicati al cibo e alla degustazione).

Il Mann negli ultimi anni, forte di questa impostazione e complice anche lo sviluppo turistico della città, ha moltiplicato il numero di visitatori in maniera esponenziale.

Stesso discorso vale per il Teatro Bellini, che ha cominciato ad aprire il teatro a tutte le ore del giorno, dedicandosi anche alla musica, alle lezioni di storia, alle presentazioni dei libri, a progetti di socializzazione e partecipazione, nonché a impianti spettacolari particolarmente coinvolgenti, cambiando spessissimo la logistica e la disposizione delle sale, modulando l’aspetto e l’assetto di un spazio sulle prime appare come uno dei più classici teatri all’italiana.

La redazione di Arte.icrewplay.com ringrazia Andrea De Goyzueta per questa importante testimonianza.

Hai visto gli spettacoli di Andrea de Goyzueta? Conosci questo straordinario artista? Scrivicelo nei commenti!

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