Ulay è morto ieri a Lubiana. Per parlare di lui è inevitabile parlare anche di Marina Abramovic, sua compagna per 12 anni e partner in molte delle loro performance che descrissi nell’articolo su di lei qualche tempo fa. Però Ulay non esisteva solo in virtù di Marina, era un noto perfomance artist ben prima di conoscere lei e continuò a esserlo anche dopo.
Ulay, la vita
Frank Uwe Laysiepen nasce 30 novembre del 1943 (piccola nota curiosa lui e Marina Abramovic sono nati lo stesso giorno), a Solingen, in pieno conflitto mondiale. Figlio di un gerarca nazista, divenne presto orfano e, come tanti altri nella sua situazione, provò sulla propria pelle il senso di colpa per i crimini del padre e la situazione che si sviluppò poi in Germania in seguito al conflitto, con la divisione della nazione in due singoli Stati, arrivando persino a rinunciare al proprio nome d’origine e alla nazionalità.
Alla fine degli anni ’60 lascia moglie e figlio e si trasferisce ad Amsterdam attratto dal movimento olandese Provo (gruppo che cercava di costringere le autorità a rispondere con la forza a provocazioni assolutamente non violente e che per tematiche e ideologia si possono definire precursori dei movimenti ecologici e contro il consumismo). Si iscrive poi alla Kölner Werkschulen di Colonia dove conosce e inizia a collaborare con Jürgen Klauke, però le discipline dell’università si discostano di parecchio dai suoi interessi perciò decide di abbandonare per dedicarsi alla sua vera passione, la fotografia.
Attraverso un uso artistico della Polaroid inizia la ricerca tra identità e corpo, concentrandosi soprattutto sulla cultura gender che documenta attraverso scatti e performance. Man mano che procede trova sempre più difficile discostare le foto dalle live performance fino ad arrivare a fondere le due cose. Nel 1976 incontra ad Amsterdam Marina Abramovic e i successivi 12 anni saranno incentrati sul loro sodalizio amoroso e professionale che tutti conoscono.
Il risvolto amaro della fine della relazione li porta in tribunale nel 1999 per l’attribuzione dei diritti d’autore delle perfomance sviluppate insieme (alcune furono addirittura vendute da Marina Abramovic senza chiedergli il permesso). Nel 2016 Ulay ottiene che Marina gli versi un risarcimento per la violazione del contratto che i due avevano stipulato nel 1999 sull’uso delle loro performance.
La carriera di Ulay prosegue concentrata sulla fotografia avente come temi l’emarginazione e il nazionalismo. Nel 2009 si trasferisce a Lubiana e qualche anno dopo gli viene diagnosticato un cancro, ma lui non si perde d’animo e lo fa diventare protagonista di una nuova performance, la sua ultima creazione.
Ulay, le opere
Reanis sense è la mostra che lo fa conoscere sulla scena olandese nel 1974. Attraverso la fotografia cerca di esprimere la propria parte femminile, evidenziandola nella serie Auto Polaroid, nella quale si ritrae perfettamente vestito e truccato con l’apparecchio che cattura ogni singola mossa, mentre nella serie S’he, ispirandosi alla relazione che aveva in quel periodo con Paula Françoise-Piso, rappresenta la fusione di coppia, due corpi che arrivano ad essere uno solo.
Nel 1976, quando già viveva con Marina Abramovic ad Amsterdam, rubò dalla Neue Nationalgalerie l’opera The Poor Poet di Carl Spitzweg, uno degli artisti preferiti di Hitler e la appese in casa di una famiglia di origini turche di Kreuzberg. Il direttore del museo, invitato da Ulay stesso a vedere la nuova esposizione, filmò il tutto. Ulay intitolò la performance Irritation – There is a Criminal Touch to Art e con essa volle attirare l’attenzione sulla segregazione in cui viveva la comunità turca in Germania. In quell’occasione coniò anche il proprio motto: “L’estetica senza etica è cosmetica“.
Dal 1976 al 1988 la sua vita è in simbiosi con quella di Marina Abramovic, con la quale condivide tutto, amore e arte (le performances che svilupperanno in quegli anni verranno raccolte nella serie dal nome Relation works) e termina con quell’incredibile performance intitolata The lovers – the gret wall walk, quando i due, per dirsi addio, si incontrarono a metà strada dopo aver percorso in 90 giorni, proveniendo dai lati opposti, la Grande Muraglia.
Dal 1988 in avanti si dedica in maniera esclusiva alla fotografia, utilizzandola sempre anche come mezzo di performance. Tra il 1990 e il 1993 lavora a Polagram, una serie di fotografie in grande formato fatte in uno studio Polaroid speciale creato a Boston, nelle quali si vedono solo parti sfocate dell’artista.
Nel 2005 il suo impegno è tutto per un progetto multimediale sull’acqua, considerata elemento primario per la vita. L’intenzione di Ulay è mettere in risalto la bellezza dell’acqua in tutte le sue forme, puntando l’attenzione sulla scarsità delle risorse idriche. Grazie a questo progetto, nel 2012 crea un database on line che chiama Earth water catalogue dove raccogliere contributi di artisti di tutto il mondo sull’acqua.
Nel 2010 rincontra il grande amore della sua vita, quella Marina Abramovic che intanto aveva proseguito nella sua carriera e nella sua vita senza di lui, ma potevano due artisti non convenzionali come loro che per lasciarsi avevano percorso la Grande muraglia, incontrarsi in un bar? Assolutamente no. Il loro incontro avvenuto durante la performance di lei al MoMa di New York, The artist is present, rimarrà per sempre uno dei momenti più emozionanti a cui assistere o da rivedere (personalmente ho perso il conto di quante volte l’ho guardato).
Ulay scopre di avere il cancro nel 2011 e fedele a se stesso rende la malattia una performance. Insieme a Damjan Kozole, con cui ha già collaborato altre volte, nel 2013 crea un documentario nel quale, girando il mondo con una troupe, va a cercare luoghi e persone che hanno avuto un ruolo importante nella sua vita. Project cancer ebbe la durata di un anno che era il tempo che Ulay pensava gli restasse da vivere. Non fu così, il grande performance artist si è spento ieri a Lubiana.
Marina Abramovic lo ha ricordato sui suoi profili social con queste parole:
“It is with great sadness I learned about my friend and former partner Ulay’s death today. He was an exceptional artist and human being, who will be deeply missed. On this day, it is comforting to know that his art and legacy will live on forever.”
(è con grande tristezza che oggi ho saputo della morte del mio amico ed ex compagno Ulay. Lui è stato un eccezionale artista ed essere umano, che verrà profondamente rimpianto. In questo giorno, è di conforto sapere che la sua arte e la sua eredità vivranno per sempre).
Icrewer puoi trovare il trailer del documentario Project cancer alla fine di questo articolo, però ti avvviso che contiene anche immagini forti.