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Lo sapevi che i musical erano considerati “arte minore”? Ecco come hanno conquistato il mondo

Un tempo considerato “arte minore”, il musical ha saputo conquistare pubblico e critica con storie potenti e musica indimenticabile. E oggi nessuno lo snobba più.

Massimo 7 mesi fa Commenta! 4
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Ci sono generi che, per decenni, non venivano presi sul serio. E tra questi, il musical occupava un posto d’onore… o forse sarebbe meglio dire di “disonore”. Perché, diciamolo: per lungo tempo, cantare e ballare in scena veniva considerato qualcosa di frivolo. Quasi imbarazzante, per chi voleva parlare di “vera arte”.

Contenuti
Le origini tra spettacolo popolare e puro intrattenimentoMa poi, qualcosa cambiaPerché funziona? Perché ci colpisce così tanto?Oggi il musical è dappertutto

Eppure oggi nessuno si sogna di snobbare Broadway, né di dire che Les Misérables o West Side Story siano roba di serie B. Ma com’è successo? Quando il musical ha smesso di essere “leggero” e ha iniziato a essere preso sul serio?

Le origini tra spettacolo popolare e puro intrattenimento

All’inizio il musical nasce così: per divertire. È figlio del vaudeville, dell’operetta, del cabaret e del music hall. In poche parole, è uno show fatto per strappare sorrisi e applausi, senza troppe pretese intellettuali. E questa origine popolare se la porta dietro per decenni… nel bene e nel male.

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Negli anni ’30 e ’40, con Hollywood in pieno boom, arrivano i musical cinematografici: quelli con Fred Astaire e Ginger Rogers, per capirci. Eleganti, impeccabili, ma ancora guardati dall’alto in basso da critici e accademici. Troppo zuccherosi, troppo “facili”.

Ma poi, qualcosa cambia

Negli anni ’50 e ’60 arriva la svolta. Rodgers & Hammerstein, Leonard Bernstein, Stephen Sondheim: ecco i nomi che rivoluzionano tutto. Iniziano a comparire musical con trame complesse, tematiche sociali, strutture narrative raffinate.

West Side Story non è solo Romeo e Giulietta in versione moderna: è una riflessione sulla violenza, sull’identità, sull’odio tra comunità. Cabaret è un pugno nello stomaco che ci parla dell’ascesa del nazismo. Rent ci trascina nel pieno dell’emergenza AIDS, tra povertà e disperazione.

Il musical, a un certo punto, smonta il suo stesso cliché. Diventa profondo, politico, scomodo. E il pubblico – quello che prima magari lo evitava – inizia a vedere in quegli spettacoli qualcosa di più: una forma d’arte completa.

Perché funziona? Perché ci colpisce così tanto?

Galleria borghese
Roma, 16 dic. (askanews)

Perché il musical ha un’arma che pochi altri generi hanno: la musica che amplifica le emozioni. Quando un personaggio canta, non sta solo “recitando con la voce”: sta esplodendo in un linguaggio che bypassa la logica e arriva dritto alla pancia.

Certo, serve saperlo fare. Ma quando funziona, è devastante. Chi ha visto The Phantom of the Opera o Dear Evan Hansen lo sa: esci con il cuore a pezzi. E ci ritorni, una volta, due, dieci. Perché ogni nota ti resta addosso.

Oggi il musical è dappertutto

Non c’è solo Broadway o il West End. Il musical è entrato nei teatri di provincia, nelle scuole, nei festival, nei talent televisivi. In Italia, per anni lo si è guardato con sospetto – troppo americano, troppo “di plastica” – ma ormai è parte del nostro immaginario. Notre-Dame de Paris, Giulietta e Romeo, Mamma Mia!… li conosciamo tutti.

E forse, proprio per la sua capacità di parlare a tutti – colto o non colto, giovane o anziano – è diventato la forma d’arte più democratica del nostro tempo.

E tu? Hai mai pianto per una canzone a teatro? Hai mai riso mentre tutti intorno cantavano insieme? Il musical non è solo spettacolo. È catarsi, emozione, memoria condivisa.

Seguici su Instagram @arteicrewplay per altri approfondimenti e racconti culturali. E se hai un musical del cuore, scrivilo nei commenti o condividi l’articolo con chi ama questo mondo quanto te.

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