“Se si riportasse interamente alla luce, probabilmente Suessula sarebbe per estensione e importanza superiore all’antica città di Pompei”.
Così esordisce la giornalista Daniela Scodellaro, in un articolo del Mattino pubblicato il 22 Ottobre del 2012.
Situata tra San Felice a Cancello, Maddaloni e Acerra, con importanti testimonianze anche nelle zone di Arienzo e Caserta, l’antica Suessula è un tesoro ingiustamente abbandonato al degrado, da anni curato da pochi volontari che cercano di rendere giustizia alla sua storia millenaria.
Suessula: storia di una grande scoperta
È il 1778. Il conte di Acerra Ferdinando III de Cardenas costruisce per il Re Ferdinando IV di Napoli una tenuta di caccia in soli sei mesi, nel Bosco di Calabricito. Il sovrano, grande amante della zona, frequenta l’edificio fino al 1830.
Il Casino è in stile vanvitelliano e sorge accanto a una torre medievale costruita dai longobardi, nello stesso punto in cui è situato anche un antichissimo teatro, completamente inglobato dalla struttura. È detto anche Pagliara, giacché è presente all’interno della proprietà l’omonima azienda agricola con annesso il bovile per le bufale, da cui viene munto il latte destinato all’industria casearia.
Durante la caccia, il Re è solito appostarsi in un luogo specifico, denominato nei racconti popolari, o’ ponte Re, a ridosso del fiume Riullo – chiamato anche Gorgone, in onore della mitologica Medusa.
Il bosco è frequentato anche da diverse famiglie acerrane, tra cui i Santoro, Lettieri, Russo Spena, Altomonte, Grazioso e Montano.
Qui lo scrittore Raffaele Viviani, ispirato dalla vegetazione lussureggiante e dalle attività agricole svolte nel cortile del Casino, scrive:
Primitivamente Cient'anni aggià campà mmiez' a sta terra quanno voglio fa' a vita vaco Acerra.
L’intera proprietà viene ereditata successivamente dal barone Marcello Spinelli di Scalea, legato al conte de Cardenas da un rapporto di parentela che dura dal 1664, anno in cui Carlo II de Cardenas sposa donna Francesca Spinelli.
Nel 1878, munitosi di regolare licenza, il barone Spinelli decide di indagare più a fondo sulla zona, cimentandosi in una lunga serie di scavi che si concludono nel 1896.
Circa cento anni prima, nel 1772, Niccolò Lettieri ha infatti pubblicato un’opera intitolata Istoria dell’antichissima città di Suessula e del vecchio e nuovo castello di Arienzo, riguardante proprio le rovine sepolte sotto il Bosco di Calabricito.
Il barone Spinelli si circonda di professionisti come Friedrich von Duhn, Giulio Minervini, Antonio Sogliano e Luigi Adriano Milani, affinché supervisionino i suoi scavi, documentati in un diario.
Gli archeologi hanno in seguito riportato le loro personali testimonianze e studi più approfonditi sui ritrovamenti, che hanno permesso di ricostruire la storia del sito.
Le prime scoperte mettono in luce dei sarcofagi di tufo, appartenenti ad un’antica necropoli, da cui emergono dei gioielli.
A seguire, innumerevoli tombe a fossa e sepolture più recenti – riconosciute proprio da von Duhn – corredate di manufatti vari, tra cui: buccheri leggeri e pesanti, vasi dalle forme “villanoviane” ad impasto brunastro, argille figuline dalle decorazioni geometriche, aryballoi protocorinzi e fibule ad arco.
Vengono scoperti alcuni gioielli fatti di una particolare lega metallica, composta da 6 acini argento, 17 d’oro e 55 di rame; dotata di una certa elasticità e ottime capacità di conservazione, dovute – secondo alcuni studiosi del sito – anche alle proprietà del suolo.
Tale metallo viene denominato “oro Spinelli”.
Immediato è l’interesse per il sito, che viene giorno dopo giorno svelato grazie all’incessante lavoro del barone.
Nel 1856, il medico e studioso locale Gaetano Caporale conduce ricerche sulla zona e conclude che la Casina Spinelli – essendo edificata sulle rovine del teatro – sorge esattamente al centro dell’antica città di Suessula.
Minervini organizza nella Reggia di Caserta, con la collaborazione del Canonico Gabriele Iannelli, fondatore del Museo di Capua, una mostra con manufatti provenienti da Suessula e Capua, di cui redige la guida: Guida illustrativa alla Mostra archeologica in Caserta.
Il barone Spinelli, entusiasta per le sue scoperte, decide di creare un museo all’interno della sua tenuta. La fama della Collezione Spinelli diviene tale che il Casino viene frequentato spesso da studiosi, giornalisti, principi e sovrani per diversi anni.
Leggiamo nel libro Il Patrimonio degli Spinelli, dello scrittore, medico e studioso locale Antonio Santoro, ex sindaco di Acerra:
In quelle stanze c’è l’anima del Re Manfredi figlio di Federico II di Svevia, della Regina Sibilla D’Aquino, della Contessa Costanza d’Avalos, di principi, duchi, conti, marchesi e baroni, fino al 1925. […]
Suessula: il tesoro perduto tra i disastri della guerra
Durante la seconda guerra mondiale, nel 1943 un commando aereo tedesco fa scempio della Casina Spinelli, rubando l’oro antico e privato dei baroni.
Successivamente, le truppe americane occupano l’edificio per farne un avamposto, usando i pregiati mobili come legna da ardere e allestendo un cinema e poi un dormitorio nel salone.
Con il via libera del maggiore Gardner, direttore del Museo di Kansas City, Amedeo Maiuri archeologo e direttore del MANN, nonchè soprintendente alle Antichità della Campania, può finalmente recuperare i preziosi reperti e portarli via dalla Casina Spinelli.
Emblematico l’episodio raccontato nel suo articolo, pubblicato per il Corriere della Sera, in cui cerca di spiegare ad un soldato il valore delle coppe in ceramica che ha usato per bere alcol:
“L’ottimo maggiore Gardner, tornato alla sua funzione di direttore del Museo di Kansas City, appariva più confuso e mortificato di me.
Tentammo una lezione di archeologia al graduato del reparto: «Stesse attento, erano vasi di gran pregio di cinque o sei secoli avanti Cristo».
Ci guardò stupito, incredulo; prese in mano fra le sue grosse dita il manico di una di quelle coppe, su cui danzava con maliziosa eleganza un Sileno, ripeté sillabando:
«Fifth century before Christus» e rise schietto col bianco degli occhi e la chiostra dei denti, compiaciuto, come se gli avessimo svelato il segreto d’un giocattolo fin allora incompreso.”
Dopo il recupero dei primi reperti, la marchesa Elena Spinelli dona ciò che resta dell’intera collezione al Museo Archeologico di Napoli, dopo una trattativa burrascosa iniziata nel 1938 dal marchese Carlo Spinelli.
Oggi, la Casina Spinelli è tutelata come bene di interesse storico-archeologico dalla legge 01/06/39 n.1089 e dal D.P.R. del 1977, n. 616 e relative modifiche.
Suessula: la riscoperta
Nel 1987, poco distante dalla località Bosco Rotto, durante i lavori dello scalo merci ferroviario Maddaloni-Marcianise, vengono rinvenuti i resti di una villa romana.
Tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000, grazie ad alcune campagne di scavo portate avanti dal professor Luca Cerchiai del Dipartimento dei Beni Culturali e dalla dottoressa Daniela Giampaola, della Sovrintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, sono stati riportati alla luce una piccola porzione del foro e alcuni edifici pubblici, tra cui la basilica.
Suessula: la storia ricostruita attraverso i reperti
In base alle sepolture rinvenute dal barone Spinelli e analizzate da Friedrich von Duhn, si presuppone che – tra l’VIII e il III secolo a.C. – sia stata praticata in zona la “cultura delle tombe a fossa”, denominata FossaKultur dall’archeologo tedesco Gösta Säflund.
Diffusa durante l’Età del Ferro nell’Italia meridionale e parte di quella centrale, è tipica di antiche popolazioni indigene e prevede l’inumazione dei defunti, vestiti e in posizione supina, insieme con oggetti di uso quotidiano, corredo virile – con tanto di armatura – o muliere – le donne vengono seppellite con indosso i gioielli.
Viene riportato nei primi studi, condotti sugli scavi del barone Spinelli:
“Lo studio dei vasi basta di per sé solo a convalidare l’origine non greca ma italica della popolazione a cui apparteneva la necropoli Suessulana”.
I primi suessolani non conoscono infatti la ruota del vasaio, già nota ai greci e cantata persino da Omero, e la loro tecnica è di poco superiore a quella delle popolazioni preistoriche.
Con lo stanziarsi di colonie greche in Italia Meridionale, inoltre, la popolazione inizia sulle prime ad imitare l’arte vascolare dei suoi nuovi vicini con l’uso di tecnologie arcaiche, il che permette di distinguere nettamente la produzione suessolana da quella greca.
L’edificazione della cittadina viene attribuita agli Ausoni Osci: popolazione stabilitasi in zona nel 1700 a.C. circa, che produce vasellame di fattura molto rozza, utilizzato per la cottura dei cibi e il trasporto dell’acqua.
Giacché attraversata dalla Via Popilia, la via più antica e importante dell’Italia meridionale, e favorita da un clima mite e terreno fertile, Suessula è stata spesso contesa da vari popoli: dopo gli osci subentrano infatti gli etruschi tra il VII e il VI secolo a.C. che ne fanno una delle dodici città dell’insediamento campano, nonché un importante centro dei loro traffici commerciali.
Nel V secolo a.C. viene conquistata dai sanniti e, nel 341 a.C. diviene teatro dello scontro con l’esercito romano. Quest’ultimo, guidato dal console Marco Valerio Corvo, si impossessa della città che, una volta ricostruita, ottiene per la sua fedeltà il titolo di civitas sine suffragio.
In età repubblicana diventa municipio, con propri magistrati e leggi; successivamente prefettura e poi, per decreto di Silla, comando militare.
Viene abitata da consoli e pretori, dotata di un proprio teatro e di templi, tra cui uno dedicato probabilmente a Diana, sulle cui rovine è stato poi costruito un castello medievale nella “città murata” di Arienzo.
Suessula è attraversata da due affluenti del Clanio, Lagni e Riullo, le cui acque sulfuree sono dotate di incredibili proprietà curative. Secondo un’antica leggenda dell’epoca, se vi si immerge all’interno un cane malato di scabbia o un cavallo malato alle unghie, questo vi esce miracolosamente guarito: ragion per cui, vengono edificate in zona delle terme.
Tra il V e il VI secolo d.C. Suessula viene gradualmente abbandonata e, nel centro della città, viene costruita una necropoli; tra il VII e il IX secolo viene poi occupata dai longobardi, che ne fanno un gastaldato e costruiscono al centro del vecchio teatro un castello.
Nell’879 d.C. l’esercito saraceno rade al suolo la città, insieme con i soldati cristiani del vescovo Attanagio, duca di Napoli. Durante il grande incendio dell’880 d.C. molti suessulani si rifugiano sulle montagne: a testimonianza di ciò, le innumerevoli torri, rocche e castelli situati tra Maddaloni, Arienzo e Cancello.
Permane solo un piccolo insediamento per circa centocinquant’anni, come rilevato da un atto notarile del 1028 rinvenuto da Gaetano Caporale.
Contesa tra i bizantini del ducato di Napoli, i Longobardi del principato di Capua e il ducato di Benevento, Suessula diviene col passare del tempo paludosa a causa delle continue inondazioni del fiume Clanio, che da secoli flagellano la zona portando con sé la malaria.
Tali inondazioni, insieme con la fertilità dei terreni capuani, sono state cantate secoli addietro da Publio Virgilio Marone, nel libro II delle sue Georgiche.
Quel poroso terren facile a bere
L’umor del pari, e ad esalarlo in lieveNebbia sottil che di tappeto erboso
Verdeggia ognora, nè giammai di scabra
Ruggine offende il vomero che il solca,
Si presterà, se coltivando il provi,
A qual uso vorrai: facile a gli olmi
E a le viti ei sarà, di pingui ulivi
Lieto e fecondo, e a pascere la greggia
Del par disposto, ed a soffrir l’aratro.
Tai son di Capua i ricchi campi, e tali
Quei vicini al Vesevo, e quei che il Clanio
Bagna, inondando la deserta Acerra.
Viene iniziata una timida opera di bonifica intorno al 1300, ad opera degli angioini. A seguire, intervengono gli aragonesi nella prima metà del XV secolo e, successivamente, il Regno di Napoli.
Suessula: le ceramiche della Collezione Spinelli
Sono circa 3000 i manufatti musealizzati provenienti dall’antica città di Suessula, di cui molti custoditi nei magazzini del Museo Archeologico di Napoli: le ceramiche della Collezione Spinelli, insieme con i bronzi, sono la più ricca testimonianza di arte campana preromana e romana pervenuta fino ad oggi.
La produzione vascolare abbraccia, infatti, un periodo lunghissimo che va dal IX al II secolo a.C.
Nel volume Suessula. Contributi alla conoscenza di una antica città della Campania, pubblicato ne 1989 a cura dell’Archeoclub di Acerra, sono riportati: vasi pelasgici, asiatizzanti, di manifattura locale e ad imitazione greca – nonché greci originali d’importazione – sia a fondo rosso che nero: oinochoe, aryballoi, lekythoi, bombylioi, kylix, amphorai, skyphoi e phialai.
Da non dimenticare i turibuli, le coppe, le scodelle, gli antefissi e altri innumerevoli oggetti ornamentali e di uso quotidiano.
I tipici vasi della produzione suessulana – che richiamano in maniera identica quella cumana – sono: a fondo giallastro con ornamenti lineari incisi, di colore bruno, nero o rosso; corinzii, con decorazioni di animali che corrono e fiori; buccheri neri o con decorazioni lineari.
Viene segnalato, negli studi di Von Duhn, il ritrovamento di due vasi dall’interessante fattura: uno raffigurante un ratto di donna, con decoro nero su fondo rosso; l’altro modellato in maniera molto particolare: con una testa di uomo barbato da un lato e di donna con i capelli ricci dall’altro, conservato egregiamente nonostante lo scorrere del tempo.
Innumerevoli i riferimenti all’Iliade e ai miti olimpici, nei vasi di autentica produzione greca o nelle rozze imitazioni suessulane.
In una skyphos di 22 cm per 28 di diametro è raffigurato Paride accompagnato da Enea, che porta via con sé Elena, sotto l’incanto di Afrodite, Amore e Peitho. Nell’opera, si nota l’influsso delle tre divinità sulla donna, che segue il principe desiderosa.
Enea, che secondo la letteratura omerica partecipa quasi controvoglia al rapimento di Elena, sembra stavolta tutt’altro che contrariato.
Su un’anfora di 34 cm, Efesto lucida lo scudo di Achille, mentre la ninfa Teti gli parla con tono solenne, tenendo un braccio teso verso di lui. Sono le fasi cruciali della guerra di Troia e il giovane Pelide necessita di armi potenti, per trionfare sul nemico in tutta la sua gloria.
Su un vaso firmato dalla fabbrica greca Hieron, la fine del conflitto: Elena torna dal marito Menelao che, adirato, la insegue per punirla del torto subito. La donna fugge disperata verso Afrodite, che le tende le braccia.
Intervengono Criseide e il vecchio Crise, per tentare una riconciliazione e, soprattutto, ingraziarsi il feroce sovrano, affinché non colpisca anche loro con la sua vendetta. In disparte e illeso, il vecchio Re Priamo, angosciato dalla morte del figlio Ettore.
Su un’anfora, Giove insegue un giovane Ganimede che gioca al cerchiello: sono frequenti figure di giovani danzanti, nudi e spesso accompagnati da fauni.
Diversi pezzi riportano decori tipici del Wild Goat Style, originario della Ionia meridionale in Asia, dove i greci hanno costruito diverse fabbriche di ceramica: le capre che brucano sono i soggetti tipici di questo stile, ispirato alla vita campestre.
Non è raro trovare, su vasi greci, delle iscrizioni etrusche: diverse sono state rinvenute su ceramiche delle zone di Capua e Nola, a dimostrazione del fatto che vi sono stati stabilimenti etruschi in Campania, precedenti alla colonizzazione avvenuta dopo le Olimpiadi del VI secolo a.C.
Così come non è affatto raro trovare, nella Collezione Spinelli, ceramiche egizie: coppe, statuine, scarabei, scorpioni, maioliche, spesso imitazioni con influenze mesopotamiche e greche. I greci, in particolare, producevano faenze egizie in una fabbrica specializzata del delta ionico.
Dagli scavi del 1878 emergono tombe contenenti corredi in stile egizio, che fanno pensare ad immigrati vissuti in zona secondo i propri usi e costumi. Tali ritrovamenti risollevano l’ipotesi di antichi commerci tra l’Egitto e le popolazioni dell’Agro Campano, in cui sarebbe stato importato anche il culto di Iside.
Suessula: un museo archeologico ad Acerra
Come concordato nel 2009 tra la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Napoli e Caserta e il Comune di Acerra, sarà allestito
nel Castello Baronale di quest’ultima un museo destinato ai reperti acerrani e suessulani, rinvenuti sul territorio negli ultimi decenni.
La Sezione Archeologica del Museo civico di Acerra è stata trasformata, quindi, nel “Museo di Archeologia e storia del territorio di Acerra e
Suessula”.
I locali, situati a piano terra, presentano inoltre una sezione interrata in cui sono visibili i resti del teatro romano dell’antica Acerrae.
In seguito ad eventuali scavi, questo potrebbe essere visibile anche nel cortile e il giardino, che diventerebbero altresì luoghi disponibili per l’esplorazione archeologica.
Le sale sono pronte: non resta dunque che attendere l’arrivo dei reperti.
Il parco archeologico di Suessula tra i Luoghi del cuore del FAI
Nel 2020, il parco archeologico di Suessula è stato inserito nei Luoghi del cuore, censimento nazionale dei luoghi da non dimenticare promosso dal FAI e da Intesa Sanpaolo.
Ogni due anni, viene data la possibilità agli italiani di poter salvare un sito di particolare interesse storico e culturale, votandolo gratuitamente online o su un modulo cartaceo da Maggio a Dicembre. I primi tre siti che ricevono più voti e il vincitore della classifica speciale, dedicata al tema scelto per il censimento, vengono supportati con un contributo economico.
Dopo ogni censimento, viene aperto un bando dedicato a tutti i luoghi che hanno ricevuto almeno 2000 voti, dove si può richiedere lo stanziamento di fondi o la collaborazione tecnica del FAI in specifici ambiti.
In data 31 Ottobre, il sito archeologico di Suessula si trova esattamente al 296° posto in classifica. Per poterlo votare, cliccare qui.
Suessula: un’identità perduta
Spesso volgiamo lo sguardo al passato per ritrovare quella sicurezza che soltanto le nostre antiche radici possono infonderci: nulla, in qualsiasi luogo del mondo, è più rasserenante di una solida cultura d’appartenenza.
Il passato di Acerra ha rischiato di essere spazzato via da uno squallido presente.
La sua identità è stata legata da anni alla Terra dei Fuochi: bruciata, inquinata, alla mercé di reti organizzate i cui ignominiosi intenti hanno gettato fango e morte su uno dei paesi più belli della Campania.
Centinaia le notizie in merito, che hanno fatto il giro di tutta Italia, rendendo la città tristemente famosa.
La maggior parte dei suoi abitanti versa in uno stato di rabbia e impotenza: “nulla può essere fatto per cambiare la situazione”.
Ma, finalmente, qualcosa di bello sta accadendo.
Tese in un costante sforzo di ricostruzione, le nuove generazioni e gli enti locali, tra cui la sede acerrana dell’Archeoclub, lottano con progetti innovativi, volti a consapevolizzare e coinvolgere la cittadinanza.
Insieme, affondano le mani in un tessuto sociale dilaniato per ricucire, a poco a poco, il proprio presente e riprogettare il futuro.
Affinché Acerra possa risollevarsi, occorre partire anche e soprattutto dalla storia: dalle antiche città di Acerrae e Suessula, dai meravigliosi
reperti della Collezione Spinelli.
Solo godendo di solide fondamenta vi può essere, infatti, una crescita sociale forte.
Ringraziamenti doverosi, per il preziosissimo contributo alla realizzazione di questo articolo
Alla dottoressa Giuseppina Petrella, presidente dell’Archeoclub di Acerra dal 1980 al 2005 e all’attuale presidente, la dottoressa Rosa Anatriello.
Ad Antonio Fazio, membro dell’Archeoclub di Acerra.
Al dottor Antonio Santoro, menzionato all’interno dell’articolo con una delle sue opere, tra cui ricordiamo anche La Casina Spinelli, Edizione Fratelli Capone.