In occasione della Domenica delle Palme, cari iCrewer, voglio mostrarvi un affresco di Giotto, l’Ingresso a Gerusalemme. L’opera, databile intorno al 1303 – 1305, fa parte del del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. L’affresco rientra nelle Storie di Gesù.
L’ingresso a Gerusalemme è un tema dell’iconografia cristiana abbastanza comune nella pittura ed è ricordato dalla liturgia cristiana nella Domenica delle Palme. Anche se a livello storico, l’ingresso di Gesù a Gerusalemme è ancora oggetto di confutazioni e di battiti, per il Cristianesimo è una pagina importante che apre l’inizio della Passione di Cristo.
L’Ingresso a Gerusalemme di Giotto
L’ingresso di Gesù a Gerusalemme è descritto in tutti e quattro i Vangeli canonici, che ne parlano rievocando gesti contenuti nell’Antico Testamento. In occasione della Pasqua ebraica, Gesù entra a Gerusalemme, seduto su un asino e accompagnato da una folla festante che agitava rami di palma e ulivo, stendendo per terra fronde e mantelli, e lo acclamava gridando:
Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Al Catechismo o durante l’ora di religione, abbiamo imparato il significato che si cela dietro a tutti i simboli e i gesti che accompagnano e accolgono Gesù a Gerusalemme. Rivediamoli con gli occhi di Giotto.
L’Ingresso a Gerusalemme è un affresco del 1303 – 1305, nel quale Giotto decise di evidenziare la figura di Cristo che varca la Porta D’Oro, che ritroveremo ruotata in Andata al Calvario, sempre di Giotto.
Nel Vangelo secondo Matteo leggiamo:
I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!”
E Giotto così rappresenta Gesù a cavallo di un asino verso le porte di Gerusalemme, seguito dagli Apostoli e facendosi incontro a una folla incuriosita. Soffermiamoci un attimo sulla figura di Gesù che domina la scena. Giotto lo rappresenta di profilo, richiamando le rappresentazioni iconografiche degli imperatori sulle monete.
Gesù sa qual è il destino che lo attende una volta varcato la porta di Gerusalemme, e l’artista fa trapelare questa conoscenza, dipingendolo con uno sguardo fisso e solenne.
L’asino è simbolo di umiltà, perché è un animale da soma e da lavoro, in netta contrapposizione con i cavalli che sono simbolo di sfarzo e ricchezza propria dei re. Inoltre l’asino è simbolo di pace, mentre i cavalli era anche simbolo di guerra, perché venivano utilizzati nelle battaglie, sia per il trasporto di armi che dai cavalieri.
Secondo la Genesi e la profezia di Zaccaria l’asino caratterizza il re messianico che discenderà da Giuda. Le genti che accolgono Gesù, sono persone che pur non avendolo mai visto prima, conoscevano i suoi miracoli.
Cristo è rappresentato a sinistra seguito dagli Apostoli, a destra gli va incontro la folla che lo accoglie con palme e rami d’ulivo, prostrandosi e adagiando a terra i mantelli. Giotto rappresenta anche due fanciulli che si arrampicano su due ulivi, forse per vedere meglio il Messia o per strappare dei rami ed omaggiarlo.
L’ingresso a Gerusalemme doveva coincidere con la festività ebraica di Sukkot, la “festa delle Capanne”, in occasione della quale i fedeli arrivavano in massa in pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano al tempio in processione.
Oggi continuiamo ad usare e benedire i rami di ulivo, ma all’epoca di Cristo veniva usato il il lulav, un piccolo mazzetto composto dai rami di tre alberi, la palma, simbolo della fede, il mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e il salice, la cui forma delle foglie rimandava alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, legati insieme con un filo d’erba.
Tra la folla possiamo notare due particolari: un uomo che stende il mantello a terra ed un altro con il volto coperto o intento a svestirsi.
Il primo, l’uomo che stende il mantello a terra, richiama un’usanza praticata verso re ed imperatori. Il mantello è simbolo di incoronazione, venivano stesi sui gradini da salire per ascendere al trono. Il distendere i mantelli davanti a lui allude al suo stato regale. Era un rito che in Oriente si riservava ai personaggi importanti, quale riconoscimento della loro regalità.
Il secondo, uomo o donna, ha il volto coperto da una veste che si sta togliendo. Diverse spiegazioni si trovano leggendo i libri di storia dell’arte.
La prima è che si stia spogliando per usare la veste come mantello e quindi omaggiare Gesù; la seconda è che stia coprendo il volto in contrasto con l’ingresso a Gerusalemme di Gesù. Il noto storico d’arte Pietro Selvatico fa curiosamente notare: “capricciosa sconcezza colui che asconde il capo sotto il mantello d’uno prostrato dinanzi al Verbo umanato”.
Guardando l’affresco, personalmente, credo che se Giotto avesse voluto rappresentare il dissenso e il contrasto con Gesù e il suo ingresso a Gerusalemme, lo avrebbe potuto fare ritraendolo di spalle o usando qualche altro simbolo più vicino al periodo bizantino.