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Asian artists a Parigi: il secolo dimenticato che l’arte sta finalmente riscoprendo

Quando Parigi era il centro del mondo (ma non per tutti)

Massimo 3 settimane fa Commenta! 5
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Negli anni Venti, una generazione di pittori asiatici arrivò a Parigi per confrontarsi con l’arte occidentale. Oggi, dopo decenni di oblio, il mondo li riscopre con occhi nuovi — e meravigliati.

Contenuti
Le Pho, Sanyu e gli altri: storie di marginalità (e di rinascita)Una mostra che cambia la narrazioneDietro le quinte di un’identità ibridaIl dopo: cosa resta oggi di quell’esperienza?

Negli anni tra le due guerre, Parigi era il cuore pulsante dell’arte moderna. Vi si riversavano giovani da tutto il mondo, in cerca di ispirazione, confronto e riconoscimento. Picasso, Chagall, Mondrian, Dalí: bastava passeggiare per Montparnasse per incontrare un futuro maestro. Ma per gli artisti asiatici — giunti da Cina, Giappone, Vietnam, Singapore — l’accoglienza non fu sempre la stessa.

A loro, la critica europea chiedeva un impossibile equilibrio: essere abbastanza “esotici” da affascinare il pubblico coloniale, ma abbastanza “tecnici” da competere con i codici dell’arte occidentale. Un doppio standard che li relegava in un limbo culturale, dove né la loro origine né il loro talento venivano pienamente riconosciuti.

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Le Pho, Sanyu e gli altri: storie di marginalità (e di rinascita)

Asian 2

Molti di questi artisti vissero per decenni ai margini. Alcuni morirono in povertà, altri rientrarono in patria dimenticati. Eppure, le loro opere oggi raccontano un’altra storia. Una storia fatta di audacia, di ibridazione culturale, di identità ricercate in punta di pennello.

Basta citare Le Pho, pittore vietnamita considerato un tempo “troppo occidentale” per il suo nudo femminile. Oggi è uno degli artisti più quotati del sud-est asiatico: il suo La famille dans le jardin è stato battuto all’asta per oltre 2 milioni di dollari. E Sanyu, che a Parigi dipingeva nudi stilizzati influenzati dalla calligrafia cinese, venduti per pochi spiccioli. Oggi lo chiamano il “Matisse cinese”, con opere che sfiorano i 33 milioni di dollari.

Una mostra che cambia la narrazione

La mostra City of Others alla National Gallery Singapore riscrive questa storia dimenticata. Con oltre 200 opere esposte, racconta non solo i successi individuali, ma anche un’intera stagione artistica finora trascurata. Tra i protagonisti troviamo Foujita Tsuguharu, giapponese adottato da Montparnasse, amico di Modigliani e icona della scuola di Parigi. Ma anche Liu Kang e Georgette Chen, tra i nomi più importanti della pittura singaporiana, e molti altri.

Il cuore dell’esposizione? Il modo in cui questi artisti hanno saputo unire Oriente e Occidente. Pennellate impressioniste su seta, composizioni ispirate all’arte ancestrale asiatica, ritratti realizzati su supporti sottili come carta o tessuto. Opere che parlano di un’identità in evoluzione, mai completamente europea né completamente asiatica. E proprio per questo, attualissime.

Dietro le quinte di un’identità ibrida

Asian

Non si trattava solo di estetica. Per molti artisti asiatici, vivere a Parigi significava anche entrare in una rete sociale fittissima. Frequentare le accademie libere, come la Grande Chaumière, partecipare ai salotti bohémien, cercare un gallerista disposto a credere in loro. Chi riusciva a inserirsi — come Foujita — poteva costruirsi una carriera. Ma per la maggior parte, la lotta per il riconoscimento era una corsa in salita.

Ed è proprio a loro che la mostra dedica una sezione speciale: artigiani, laccatori, decoratori. Lavoratori anonimi che contribuirono in modo decisivo al design Art Deco in Francia, ma di cui raramente si conosce il nome.

Il dopo: cosa resta oggi di quell’esperienza?

Molti degli artisti in mostra furono costretti a tornare in patria allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Alcuni, come Foujita, pagarono a caro prezzo le scelte fatte durante il conflitto. Parigi, nel frattempo, perse il suo primato globale. New York prese il suo posto, e la storia dell’arte si spostò altrove.

Ma oggi, cento anni dopo, qualcosa sta cambiando. I collezionisti asiatici riscoprono i loro pionieri. Le istituzioni internazionali li rivalutano. E mostre come “City of Others” ci ricordano che la modernità non è stata solo europea: è stata ibrida, globale, contaminata.

Un messaggio più attuale che mai.

Ti appassiona la storia dell’arte dimenticata? Seguici su Instagram @icrewplay_arte per scoprire altre storie, opere e artisti da (ri)scoprire.

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