C’erano le zanzare, le granite e la tv accesa.
C’erano le voci che rimbalzavano dalle piazze, e le hit che imparavi a memoria prima ancora di sapere il testo.
C’era l’estate.
E c’era il Festivalbar.
Per chi è cresciuto tra gli anni ’70 e i primi 2000, non era solo una trasmissione. Era un appuntamento fisso, un simbolo, un termometro musicale e culturale.
Era l’Italia che si fermava a guardare e ascoltare, tutta insieme, dal salotto o da una piazza.
Come nasce il Festivalbar?

Il Festivalbar nasce nel 1964 da un’idea di Vittorio Salvetti, con una trovata geniale: misurare il successo dei brani attraverso i jukebox sparsi nei bar italiani.
Un vero termometro popolare.
Se un brano veniva suonato spesso, voleva dire che la gente lo amava davvero.
Da lì, inizia la scalata: da semplice classifica si trasforma in evento itinerante, poi in show televisivo che attraversa l’Italia con le sue tappe estive, fino alla finalissima in diretta.
Una piazza, mille emozioni
Le città ospitanti — Verona, Lucca, Napoli, Palermo, Torino — diventavano templi del pop.
Il palco era maestoso, gli effetti luce da discoteca, la folla mista: famiglie, adolescenti, curiosi. Tutti lì, per sentire la colonna sonora dell’estate.
Chi c’è passato?
Tutti. Ma proprio tutti.
Da Baglioni a Gianna Nannini, da Raf a Vasco, da Eros Ramazzotti a Jovanotti. E poi ancora: Laura Pausini, Tiziano Ferro, Elisa, gli 883, i Lunapop, Giorgia, Ligabue.
Era un palco che faceva consacrazioni. O le distruggeva.
Non solo musica: uno specchio dell’Italia

Il Festivalbar è stato anche termometro dei costumi.
Negli anni ’80, era l’epoca dei colori fluo, delle giacche con le spalline e dei sintetizzatori.
Negli anni ’90, spazio alle boy band, al pop italiano che sognava la California, al primo hip hop di massa.
Negli anni 2000? Il digitale che arriva, i suoni che cambiano, la televisione che inizia a rincorrere il web.
E il Festivalbar era sempre lì. A mostrarci chi eravamo in quel preciso momento.
Perché è finito?
L’ultima edizione è datata 2007.
I motivi? Economici, organizzativi, ma anche culturali.
La musica stava cambiando: YouTube, gli MP3, i social. La gente non aspettava più l’estate per scoprire un tormentone. Se lo cercava. Se lo creava.
Eppure, nessuno è mai riuscito a sostituirlo.
Nemmeno i vari Wind Music Awards o i concertoni estivi di oggi.
Il Festivalbar era un’altra cosa: non solo show, ma rito collettivo.

Ci manca?
Forse sì.
Non per nostalgia, ma perché ci manca qualcosa che metta insieme tutte le generazioni in una piazza vera, non solo virtuale.
Ci manca cantare lo stesso ritornello, sotto lo stesso cielo.
E tu? Qual è la tua canzone del Festivalbar che ti è rimasta addosso?
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